“La sofferenza della gente di Diyala è grande, perché è diventato impossibile sapere chi è amico e chi è un nemico” (di Redazione) Il calo dei prezzi nel mercato internazionale del petrolio sta avendo gravi conseguenze sull’economia e il bilancio dell’Iraq. A dichiararlo è il primo ministro iracheno Haider Abadi che sulla questione ammette:”francamente, penso che l’impatto sia catastrofico“.
I prezzi del petrolio hanno perso quasi il 50% del loro valore da giugno dello scorso anno, e la contrazione è arrivata in un momento decisivo per l’Iraq, che si trova a fronteggiare una massiccia presenza di jiihadisti dello Stato Islamico in ampie fascie del proprio territorio, ed in particolare nella irrequieta provincia di Anbar, a ovest di Baghdad
La guerra in corso con il gruppo jihadista ha costretto il governo iracheno a destinare gran parte dei ricavi del petrolio per acquistare armi e addestrare ed inquadrare le proprie organizzazioni militari e di sicurezza. Abadi ha stimato infatti come l’Iraq stia perdendo almeno il 40% del guadagno dalla vendita di petrolio a causa del tonfo del mercato petrolifero. “Il prezzo del petrolio che abbiamo venduto questo mese è inferiore al 40% di quello normalmente fissato, mentre l’85% del nostro bilancio dipende proventi del petrolio“. Il ministero della Difesa irachena ha intanto dichiarato di aver concordato con diversi paesi, tra i quali gli Stati Uniti, la dilazione dei pagamenti per le forniture belliche spedite in Iraq fino a quando i prezzi del petrolio inizieranno a risalire.
Ma nel paese è un vero e proprio caos. Fallujia sotto assedio governativo da un anno, da Mosul fino a Tikrit, anarchia assoluta. Nella stessa capitale Baghdad, nei giorni scorsi sono esplose almeno quattro autobombe, anche all’interno della Green Zone, con una costante pressione dei miliziani jihadisti alla sicurezza della capitale irachena. Sempre nella capitale, le compagnie aeree degli Emirati Arabi Uniti, tra cui Etihad, hanno addirittura sospeso i voli verso Baghdad, dopo che un vettore di FlyDubai è stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco mentre era in fase di atterraggio all’aeroporto di Baghdad.
Anche all’interno della compagine governativa e nel blocco “anti-stato islamico” le cose non sembrebbero andare meglio. Ieri, in contemporanea all’annuncio delle truppe irachene di aver ripreso il pieno controllo della provincia orientale di Diyala dai jihadisti dello Stato islamico, le tribù sunnite della regione hanno accusato alcuni gruppi paramilitari di volontari sciiti di aver bruciato un certo numero di moschee sunnite e razziato case sunnite della provincia, a riprova della crescente influenza ed importanza delle milizie nella gestione della sicurezza.
Il vice-presidente iracheno Osama Al-Nujaifi attraverso un comunicato, ha dichiarato di aver contattato sia il Primo Ministro che il ministro della Difesa, chiedendo loro di iniziare un’indagine per mettere in conto i responsabili. Karim Al-Nouri, un portavoce della Badr Organization e del suo leader Ameri, ha tuttavia dichiarato ad Asharq Al-Awsat di essere scettico riguardo queste accuse. “E strano che le forze di sicurezza e i volontari dei movimenti popolari vengano accusati [di questi crimini], mentre IS, che in realtà ha fatto queste cose in quella zona, non sia accusato di nulla” ha dichiarato il portavoce.
L’identificazione confessionale, nonostante gli sforzi governativi, resta infatti un elemento di tensione ancora fortissimo tra la popolazione irachena, memore della sanguinosissima guerra civile tra sunniti e sciiti del 2006-2008. Mazen Khayzuran, un capo tribù locale di Diyala, ha dichiarato a media locali come intere zone di Diyala siano state ormai svuotate dai residenti, che sono tutti sunniti. Il governo iracheno ha promesso che in breve potranno ritornare ma “la sofferenza della gente di Diyala è grande perché è diventato impossibile sapere chi è amico e chi è un nemico, quindi ora siamo fondamentalmente tra l’incudine e il martello nella misura in cui stiamo cominciando a percepire anche il connubio di interessi tra ISIS e le varie milizie volontarie, al fine di dividere la composizione sociale della provincia, che ospita persone di diverse origini etniche e settarie e che hanno fino ad oggi vissuto insieme in armonia “.