Proprio il Kurdistan iracheno, entità governativa minacciata dalle milizie di Al Baghdadi, starebbe contribuendo a foraggiare lo stesso ISIS (di Giovanni Andriolo) L’amministrazione Obama dichiara di aver danneggiato, con i bombardamenti degli ultimi mesi, il commercio di petrolio e gas che avrebbe reso lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) l’organizzazione terroristica più ricca al mondo. Secondo il Wall Street Journal, infatti, gli Stati Uniti starebbero combinando il bombardamento delle infrastrutture energetiche controllate da ISIS in Siria e Iraq con un tracciamento delle vie di contrabbando di petrolio e gas verso la Turchia e il Kurdistan.
Sorge spontaneo un collegamento: proprio il Kurdistan iracheno, entità governativa minacciata dalle milizie di Al Baghdadi, tanto da fornire a Stati Uniti e diversi paesi europei ed extraeuropei una motivazione sufficiente per intervenire militarmente nella regione, starebbe contribuendo a foraggiare lo stesso ISIS?
In ottobre, il dipartimento del tesoro statunitense stimava che lo Stato Islamico stesse guadagnando da uno a due milioni di dollari al giorno grazie al contrabbando di petrolio. Secondo il WSJ, che cita fonti governative statunitensi, questa cifra sarebbe attualmente scesa.
Tuttavia, la struttura economica dell’ISIS non si ferma al settore energetico: altre attività, come rapimenti, estorsioni, la vendita di reperti archeologici iracheni e siriani, sarebbero i settori più redditizi. Così come, prosegue il WSJ, le donazioni da paesi del Golfo persico, come Qatar e Kuwait.
Le operazioni militari statunitensi avrebbero preso di mira l’infrastruttura petrolifera controllata dall’ISIS, incluse raffineria e strutture di distribuzione , nell’est della Siria e nell’ovest dell’Iraq. In Siria, l’ISIS controllerebbe circa 8 giacimenti di petrolio.
L’Amministrazione Obama avrebbe inoltre accresciuto la cooperazione con la Turchia e il governo semiautonomo del Kurdistan per contrastare il contrabbando di risorse lungo i territori di questi due paesi attraverso una migliore gestione del controllo dei confini.
Tuttavia, dichiara Amos Hochstein, l’inviato speciale statunitense e coordinatore per gli affari energetici internazionali, c’è ancora molto lavoro da fare. La situazione sul campo sembra dargli ragione.