“La situazione libica è caotica non solo dal punto di vista militare ma anche e soprattutto sotto l’aspetto istituzionale, il che trasforma il paese in una vera e propria bomba ad orologeria pronta ad esplodere”
(di Nino Orto) Il 25 febbraio 2011, quando già la guerra civile cominciava a lacerare la Libia, durante una telefonata tra l’allora premier britannico Tony Blair e Muhammar Gheddafi quest’ultimo avvertiva la controparte inglese di come i jihadisti “si sarebbero impossessati del Paese” se il Rais libico fosse stato destituito, come poi effettivamente avvenne. Oggi, a cinque anni da quella conversazione, le parole di Gheddafi sembrano rivelarsi profetiche, con il contesto geopolitico del Paese nordafricano molto più complicato e pericoloso anche rispetto all’intuizione del satrapo libico. La Libia è oggi un “buco nero” geopolitico in cui riconoscere gli alleati è altrettanto difficile che identificare i nemici. Da una delle nazioni più ricche del continente africano a un “non-stato” la Libia è da cinque anni ostaggio di interessi locali ed internazionali che rischiano di distruggere definitivamente le già fragilissime e frammentate strutture di governo locali. Un contesto generale che pone l’Italia, con i suoi interessi e la sua storia nel Paese nordafricano, in una situazione ambigua e potenzialmente pericolosa.
Di questo e di altri aspetti della crisi libica ne parliamo con Valerio Buemi,consulente per il marketing e le relazioni commerciali con i Paesi Arabi ed esperto di Libia per Osservatorio Mashrek.
Qual è il contesto politico e militare della Libia di oggi?
Attualmente la situazione in Libia è caotica e senza una reale exit-strategy in grado di far uscire la nazione dall’empasse istituzionale in cui si trova. In Tripolitania, il governo di unità nazionale guidato dal premier Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, dall’Onu, da Unione Europea e Stati Uniti, continua a cercare di trovare una soluzione politica per farsi riconoscere anche dall’altra entità politica attualmente esistente in Libia, che è il governo di Tobruk. Alla luce di questa divisione l’attacco da parte delle milizie appoggiate da Francia ed Egitto contro quelle sostenute dall’Italia e dal resto della comunità internazionale non semplifica le cose. Nonostante molti analisti ritengano non si tratti di un attacco contro l’Italia, ma sia il frutto di un azione consequenziale ad un atteggiamento politico di Tobruk (dipendente militarmente da Haftar) contro il governo di Tripoli e la comunità di Stati che lo appoggia, la situazione resta tesissima. Tralaltro, l’atteggiamento ambiguo della Francia, che ufficialmente appoggia il governo di Tripoli ma nei fatti finanzia quello di Tobruk e di Haftar, peggiora le cose.
Lo stesso Haftar ha un ulteriore ambiguità di fondo nella sua azione poltica in quanto guida una forza militare che si autodefinisce esercito nazionale libico ma che nei fatti risponde agli interessi del generale e della classe politica di Tobruk, un coacervo indistinto di forze che tuttavia possiede l’unico parlamento democraticamente eletto nel paese con una reale legittimazione popolare.
Eppure, da mesi, l’assemblea parlamentare di Tobruk, che dovrebbe esprimere un voto a favore del governo di unità nazionale, continua a rimanere immobile a causa di continui veti legati alla promulgazione della nuova costituzione e il riconoscimento di diverse forze politiche che fanno parte del governo di unità nazionale. Questo trasforma la dialettica politica tra le due entità in un cul-de-sac utile a tutti perchè il temporaggiamento del parlamento di Tobruk permette da una parte al governo dello stesso di continuare a vivere in maniera artificiosa senza alcun riconoscimento da parte della comunità internazionale, mentre a quello di Tripoli permette di ampliare il proprio raggio d’azione, in un contesto dove sappiamo alcune città importantissime per la Libia come Bengasi e Sirte continuano ad essere teatro di guerra.
L’incognita dello Stato Islamico, degli ex-gheddafiani, di Misrata?
Ad aggiungersi al caos c’è lo Stato Islamico e gli ex-gheddafiani che, dalla caduta del Rais libico, non hanno mai realmente gettato la spugna. A Sirte secondo le dichiarazioni delle brigate di Misrata, ovvero l’altro grande nucleo di quello che dovrebbe diventare l’esercito nazionale libico, lo Stato Islamico sarebbe in rotta, con delle piccole sacche di resistenza ancora arroccate nella città costiera. Anche la posizione dei jihadisti è piuttosto ambigua, in quanto il gruppo di Baghdadi avrebbe pochi dirigenti provenienti dal Siraq e un forte nucleo di jihadisti libici motivati più da obiettivi interni alla Libia piuttosto che quelle di un califfato mondiale.
L’ambiguità dell’IS libico sarebbe infatti dettato dalla forte presenza di ex-gheddafiani e nostalgici del vecchio regime che nella logica del “il nemico del nemico è mio amico” stanno attualmente appoggiando gli estremisti islamici nel tentativo di restaurare almeno in parte le leve di potere del vecchio regime. Le fonti libiche riferiscono inoltre di come lo Stato Islamico sia in rotta soprattutto grazie al massiccio intervento aereo degli Stati Uniti su Sirte, motivato dalla numerosissima presenza di bunker e di casematte difficilmente conquistabili dalle milizie libiche.Vi è poi da tenere conto di come Mistrata attualmente abbia un grave problema di gestione dei feriti di guerra.
La posizione del governo italiano?
Negli ultimi due anni Roma ha sempre mantenuto una politica “bilanciata” nei confronti degli attori libici. Da una parte ha sempre sostenuto il parlamento di Tobruk, in quanto organo legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Dall’altra ha mantenuto ottimi rapporti con il governo di Tripoli, anche perchè è il governo tripolitino che con le sue milizie ha garantito che l’Eni e le società dell’indotto Eni potessero continuare ad operare sul territorio con l’estrazione petrolifera, ed in particolare a Mellita, da dove parte il gasdotto per l’Italia. Roma ha inoltre fin da subito assunto un ruolo di leadership politica nel momento in cui finalmente si è arrivati alla formazione di un governo di unità nazionale. Ed oggi, chiaramente, l’obiettivo italiano è quello di far si che questo governo di unità nazionale possa effettivamente esercitare il potere in Libia e possa quindi anche riuscire a risolvere l’enorme problema dell’accettazione da parte della Cirenaica. Il governo italiano ha inoltre scelto di appoggiare Misrata perchè in questo momento in città vi è una leadership forte dal punto di vista politico e militare, ed è oltretutto una città di fronte bellico perchè sta sostenendo, sia per la posizione sia per una questione strategica, il maggiore sforzo militare nella lotta contro lo Stato Islamico. Si è scelto quindi di andare a Misrata non solo per risolvere un problema di natura umanitaria, con un percorso diplomatico teso a implementare la cooperazione sanitaria con cui l’Italia si è impegnata donando centinaia di migliaia di euro in attrezzature sanitarie e medici.
Ma anche per lo spinoso tema che riguarda la protezione degli impianti petroliferi già fortemente limitati, in quanto l’attuale produzione libica è ai minimi storici, con una produzione giornaliera tra i 300mila e i 600mila barili al giorno a fronte di un potenziale di 3milioni di barili giornalieri. Diminuzione causata dai quotidiani attacchi agli impianti petroliferi, dalla mancanza di sicurezza, dalla chiusura prolungata dei terminal di stoccaggio che hanno fatto crollare le quote di esportazione. Per la Libia è vitale riprendere la produzione di un tempo perchè per i libici questo sta causando una povertà di mezzi che sta avendo pesantissime ripercussioni per tutti. Tripoli, come Sirte, come Mistrata, sono ormai città che non sono in grado di garantire neanche i servizi basilari ai propri cittadini. E’ una catastrofe, sopratutto se si tiene conto di come la Libia prima della rivoluzione era uno dei paesi più ricchi dell’Africa.
Alla luce del recente invio di truppe in Libia, qual è la strategia dell’Italia?
La strategia italiana può essere interpretata in due modi: vi è la versione ufficiale per il quale il compito dei parà sarà quello di costituire la sicurezza per l’ospedale da campo che, verosimilmente, dovrà essere costruito vicino all’aeroporto di Misrata. Il loro compito sarà quello di difendere i circa cento medici e personale sanitario che dovrannno operare in Libia e aiutare i libici nella cura dei feriti di guerra. Un altra possibilità, che al momento può essere considerata solo una speculazione in quanto non ha degli appigli “reali“, è che i parà possano dare una mano alle forze di Misrata nella lotta contro l’ISIS e, verosimilmente, a protezione degli impianti petroliferi. Se questa opzione fosse reale, il rischio è che l’Italia possa trovarsi invischiata in una guerra civile tra parti libiche contrapposte, creando un autogol diplomatico di proporzioni bibliche per l’Italia. Non credo e mi auguro che non si arrivi a questa situazione, anche perchè i libici non vedono di buon occhio qualsiasi ingerenza militare internazionale sul campo. E’ accettabile l’impegno dell’Italia dal punto di vista sanitario ma non sotto l’aspetto militare, in quanto riaccende nei libici il ricordo del colonialismo italiano e di conseguenza lo spirito nazionalista che potrebbe alzare il rischio di attacchi e attentati contro le nostre truppe e, potenzialmente, anche eventuali attacchi di terrorismo sul suolo italiano. Anche il Ministro della Sanità del Governo di Unità Nazionale e il resto del Governo sarebbero molto “irritati” della presenza dei militari italiani in Libia
Nel Paese c’è quindi una commistione tra mercanti di uomini, milizie e Stato Islamico?
Questa affermazione deve essere affiancata da un dato fondamentale per capire la realtà libica di oggi: il collasso dell’apparato di potere di Gheddafi ha comportato la distruzione di qualsiasi forma organizzata di potere. In breve, si puo’ dire che Gheddafi “era” lo Stato libico e con la sua caduta la distruzione degli apparati di governo è stata inevitabile. Le forze che hanno provato a ricostruire lo Stato libico sostanzialmente sono state sopraffatte da una situazione molto più grande delle loro capacità politiche e, a rendere la situazione ancora più complessa, vi è la crisi economica. La Libia si è ritrovata ad essere da uno stato ricco e florido grazie all’indotto petrolifero ad un posto in cui i cittadini affrontano una situazione gravissima e dove quasi tutte le attività economiche si trovano in uno stato comatoso. Quindi, come fare ad uscire da una situazione del genere se non aiutando le forze politiche libiche a ricostruire questo tessuto sociale? Un operazione titanica, ovviamente.
A livello regionale ed internazionale, quali sono le fratture e gli schieramenti tra i vari attori in campo?
Dal punto di vista arabo l’Egitto, insieme agli Emirati, appoggia da sempre Haftar e ha sempre dimostrato un certo interesse che sia la compagine politica di Tobruk ad avere la meglio, fermo restando che l’Egitto paventa una seccessione della Cirenaica dalla Tripolitania, questo significa che la Cirenaica di fatto entrebbe a far parte di un orbita geopolitica dominata dal Cairo. A seguire c’è la Tunisia, che invece vive con grande disagio questa situazione, in primo luogo per la problematica dei foreign fighters in Libia, che sono per la maggior parte tunisini e che con la presunta rotta dello Stato Islamico tornerebbero in patria e creerebbero ulteriore destabilizzazione nel paese dei gelsomini. C’è anche il problema dei due milioni di rifugiati libici in Tunisia con diversi gradi di ricchezza e di livello culturale. E poi il grande problema della Tunisia, che è abbastanza porosa ai suoi confini con la Libia.
La Turchia ha una posizione molto netta: possiede un forte legame con Misrata e in particolare con il politico libico Abdul-Rahman Al-Swahili che è recentemente diventato Presidente del consiglio di Stato, quest’altro organismo che rappresenta il governo di unità nazionale. I suoi interessi sono quindi focalizzati nell’appoggiare il governo di unità nazionale.
La Francia è invece molto ambigua perchè appoggia sia il governo di unità nazionale sia quello con Haftar. La posizione di Parigi ha un obbiettivo preciso che è la regione del Fezzan, poichè con il controllo di questo territorio puo’ allargare la propria sfera d’influenza in Nord Africa. Il fatto di avere una Libia divisa avvantaggia la Francia, che quindi tende a favorire l’ipotesi di una futura spartizione della Libia in tre regioni che ricalchino la divisione del vecchio califfato ottomano. Chiaramente queste sono speculazioni senza nessuna prova tangibile.
Gli Stati Uniti hanno dimostrato un sostegno concreto al governo di unità nazionale di Tripoli, pero’ c’è da dire che Haftar è molto vicino agli USA, ex uomo della Cia, e quindi ci fa capire la posizione “altalenante” degli USA.
Quali sono i nemici dell’Italia nel teatro libico?
Innanzitutto ci sono gli estremisti islamici: Stato Islamico, Ansar al-Sharia e tutti i gruppuscoli della galassia jihadista attivi a Sirte e a Bengasi (dove ci sono alcuni quartieri del centro storico ancora da riconquistare). Lo Stato Islamico in realtà resiste ancora a Sabrata, dove tra l’altro è avvenuta l’uccisione dei due tecnici italiani della Belleli, ma anche in altre realtà della Tripolitania. Non dimentichiamo inoltre il rischio che pongono in questa fase anche tutte le milizie legate al generale Haftar. Non sappiamo infatti che tipo di reazione potrebbero avere nel momento in cui l’Italia dovesse schierarsi nettamente a favore del governo nazionale. Ai nemici aggiungerei anche il gruppo di gheddafiani che attualmente agiscono sottotraccia camuffati all’interno delle milizie jihadiste ma che, in realtà, seguono un agenda politica autonoma. Da evidenziare come il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, probabile successore di Muhammar Gheddafi, sia ancora vivo e prigioniero della brigata di Zintan, una milizia che ha una posizione autonoma sia rispetto a Tobruk sia a Tripoli. In questo senso, il fatto che ci sia un erede così importante politicamente fa si che questi gruppi nutrano ancora delle speranze. E’ una situazione caotica in cui è il popolo libico che sta pagando le principali conseguenze, ma che potrebbe aggravarsi ancora di più con le future scelte politiche dell’Italia, per quanto dei piccoli segnali di miglioramento arrivino, pensiamo alla ripresa dei collegamenti aerei con i principali stati del nordafrica e del medioriente. Ci sono state delle timide riprese di contatti commerciali anche con l’Occidente, ma la situazione resta spaventosamente incontrollabile.
Ci sono truppe di Stati europei e non operanti in Libia? E l’Italia?
Ci sono state alcune notizie di militari USA e forze speciali francesi a sostegno delle brigate di Misrata. Si è parlato anche di una presenza di forze speciali italiane. Una novità è che la sicurezza del premier del governo di accordo nazionale di Tripoli, Fayez al-Serraj, sia stata garantita da un ammiraglio italiano che opera sotto l’egida dell’ONU per garantire la sicurezza del GUN. C’è tuttavia da sottolineare come il governo di unità nazionale ormai si riunisca piu’ a Tunisi che in territorio libico: questo la dice lunga sulla situazione sul campo e l’effettività di questa compagine. Altro elemento da non sottovalutare è la riattivazione della nostra l’ambasciata con la presenza di esponenti di forze di sicurezza e intelligence che hanno svolto un ruolo di tutela di questo governo. Tutti questi fattori indicano come l’Italia si stia muovendo per tutelare Serraj e il suo governo.
Cosa prevede per il futuro del Paese nordafricano?
Attualmente la situazione continuerà ad essere profondamente conflittuale sia perché le milizie hanno un potere straordinario che fanno il bello e cattivo tempo nel Paese, sia perché non si vede nessuna soluzione per la costruzione di un ipotetico esercito nazionale libico che includa queste forze paramilitari. La situazione è confusa: ci sono le milizie di Zintan, ci sono le milizie di Tripoli, a cui si è recentemente aggiunta la forza di deterrenza speciale al-Rada’ che si occupa della sicurezza nella capitale ma che di fatto agisce come un gruppo paramilitare che opera con estorsioni e omicidi extra-giudiziali. Ci sono le milizie di al-Ghniwa, che al momento stanno appoggiando il governo di unità nazionale. Ci sono le brigate di Misrata che stanno sostenendo l’offensiva contro Sirte. C’è poi l’esercito di Haftar che, in particolare con la milizia speciale al-Assaika, equivalente della nostra Folgore, sta sostenendo la lotta a Bengasi. Ci sono poi i gruppi armati delle due minoranze etniche dei Tebu e dei Touareg nel Fezzan..
La situazione sul campo è assolutamente imprevedibile e non vi è nessuna prospettiva di riunificazione tra milizie e esercito. La situazione economica è disastrosa, il contesto sociale è pessimo ed è altissima la percentuale di criminalità comune a causa della totale assenza di un autorità centrale. Sequestri di persona, rapine, atti di omicidi mirati contro attivisti e politici sono all’ordine del giorno, con un eliminazione cosciente della classe dirigenziale libica per continuare a far crescere il caos. Ricordiamoci, inoltre, che a Sirte lo Stato Islamico ha preso di mira il clero sunnita libico azzerando qualsiasi dissidenza anche da parte dei religiosi. Il gran Mufti della Libia ha oggi una posizione politica estremamente conservativa, quasi in appoggio agli estremisti islamici o comunque estremamente contrario al governo di unità nazionale, considerato da lui e da molti come una forza apostata ed espressione delle potenze coloniali e della dittatura dell’Onu.