“Le frontiere sono pensate come luoghi ufficiali, ma la definizione è completamente diversa per i contrabbandieri, che vedono i confini come fluidi e sovrapponibili” (di Giovanni Andriolo-Nino Orto) Come si può combattere il mercato nero di carburante alzando il prezzo del petrolio? Nel caso siriano, è presto detto. A fine gennaio, infatti, il Governo di Damasco, ha deciso di tagliare gli ingenti sussidi sul prezzo del carburante in seguito alle proteste in aree del Paese notoriamente filo-governative. Come, ad esempio, quelle diffuse nella città portuale di Latakia, uno dei feudi della minoranza Alawita, da cui proviene la famiglia del Presidente siriano Bashar al Asad.
Il motivo delle proteste? La corruzione e il contrabbando causati dai sussidi sui carburanti che, secondo i manifestanti, avrebbe favorito diversi affaristi senza scrupoli, che avrebbero successivamente acquistato ingenti quantità di carburanti sussidiati, per poi rivenderli a prezzi rialzati sul mercato nero. Affaristi a cui ora molti siriani si stanno rivolgendo per potersi rifornire di un bene, il carburante, sempre più difficile da trovare nel Paese.
I network di contrabbandieri hanno una lunga storia di commerci attraverso tutti i confini della Siria, e sono stati sempre controllati e “contenuti” dal Governo siriano durante l’intera storia moderna del Paese. Tuttavia, negli ultimi tre anni, questi gruppi sono riusciti a “divincolarsi” dal controllo del governo di Damasco. Il collasso dell’economia siriana, che ha comportato fortissime esigenze dei rifugiati, insieme al ritiro dei militari dalle zone di confine, hanno infatti permesso l’espansione incontrollata del contrabbando transfrontaliero, che passa dal commercio di grano e olio fino ad arrivare alle armi e munizioni. A sua volta, le reti di contrabbando hanno largamente beneficiato del caos successivo alle rivolte, sfruttando la guerra per inserirsi in settori chiave dell’economia.
Come un osservatore ha spiegato, “contrabbando e criminalità sono sempre stati un problema nelle zone di frontiera ma ora, per la prima volta, contrabbandieri e criminali sono in grado di esercitare un controllo reale su entrambi i lati del confine“.
Lo stato di conflitto permanente ha infatti inibito quasi totalmente la produzione interna di Damasco, mentre l’importazione dall’estero e il controllo dei rifornimenti diventa sempre più difficile: se alle aziende europee non è stato impedito, malgrado le sanzioni che pendono sulla Siria, di vendere diesel e benzina al Paese in guerra, d’altra parte diverse compagnie internazionali preferiscono evitare i contatti commerciali con Damasco, per paura di essere ostracizzate dai rispettivi governi o nei rispettivi mercati. Secondo fonti ufficiali, le due principali raffinerie del Paese, quella di Homs e quella di Banyas, starebbero lavorando al 10% della loro attività prebellica proprio a causa della mancanza di greggio da trattare.
L’aumento dei prezzi dei carburanti avrebbe inoltre fermato il fiorente contrabbando del combustibile nel vicino Libano. Con il diesel che ora si è avvicinato molto di più ai prezzi internazionali, l’attività di contrabbando non sarebbe più così redditizia. I sussidi, introdotti ancora prima della guerra, permettevano l’acquisto di un litro di diesel per 7 lire siriane e di un litro di benzina a venti lire (all’epoca, circa 8 e 20 centesimi di euro, ora, molto meno). Il costo di questo programma per il Governo veniva quantificato in circa circa 8 miliardi di dollari all’anno: una cifra che Damasco, date le condizioni attuale dei bilanci del Paese, sarà ben felice di risparmiare.