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Gaza sotto il controllo USA? Il Medio Oriente entra in una nuova era

by Nino Orto
11 Novembre 2025
in Israele-Palestina, News
Reading Time: 4 mins read
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Gaza sotto il controllo USA? Il Medio Oriente entra in una nuova era
Una base statunitense permanente nel sud di Israele potrebbe ridefinire la gestione della Striscia di Gaza e le dinamiche regionali.

(Photo Credit/Nino Orto)

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti sembrerebbero valutare con crescente attenzione la costruzione di una grande base militare nel sud di Israele, destinata ad ospitare forze internazionali operanti nella Striscia di Gaza durante la seconda fase del cessate il fuoco tra Israele e Hamas.Si tratterebbe di un progetto di ampia portata, stimato in mezzo miliardo di dollari, con la capacità di accogliere diverse migliaia di soldati. Una struttura di tale dimensione segnerebbe un cambio significativo della presenza americana in Israele, consolidando una posizione strategica che, se realizzata, potrebbe incidere profondamente sul futuro della regione.

La base avrebbe un ruolo fondamentale nella gestione della sicurezza e del mantenimento della tregua nella Striscia, fungendo da quartier generale per le forze internazionali coinvolte nella stabilizzazione post-conflitto. Attualmente, gli Stati Uniti dispongono già di una presenza limitata, con circa 200 militari operativi in un centro di comando situato a Kiryat Gat, che potrebbe diventare il nucleo logistico della nuova infrastruttura. Il progetto potrebbe includere strutture per il coordinamento operativo, la gestione degli aiuti umanitari e il supporto alle forze internazionali, permettendo a Washington di avere un ruolo diretto e centrale nella fase post-bellica.

Una base americana di queste dimensioni rappresenterebbe anche un cambio di paradigma nella politica di sicurezza israeliana. Per decenni, Israele ha cercato di limitare l’intervento internazionale nel controllo dei Territori e nelle operazioni militari, mantenendo una sostanziale autonomia anche nella gestione di Gaza. L’insediamento di una presenza militare americana stabile segnerebbe però una nuova forma di cooperazione mai sperimentata prima, in cui gli Stati Uniti assumerebbero un ruolo diretto e permanente nel mantenimento della sicurezza, nella logistica e nella supervisione degli aiuti umanitari da e per la Striscia.

Proprio la gestione degli aiuti potrebbe diventare uno degli aspetti più significativi di questa possibile collaborazione.Ad oggi, Israele controlla gran parte della distribuzione dei convogli, utilizzandoli anche come leva politica e strumento di pressione nei confronti di Hamas. Con una base americana operativa, il coordinamento e la distribuzione dei beni umanitari potrebbero passare quasi interamente sotto il comando degli Stati Uniti, riducendo l’influenza diretta di Israele e aumentando la capacità americana di supervisionare la ricostruzione e il supporto alla popolazione civile.

Dal punto di vista geopolitico, la base avrebbe implicazioni molto più ampie. Una presenza militare americana stabile nel sud di Israele consoliderebbe il ruolo degli Stati Uniti nel Mediterraneo orientale e potrebbe influenzare in maniera significativa gli equilibri tra gli attori regionali. Il Medio Oriente, storicamente caratterizzato da fragili equilibri di potere, vedrebbe Washington come un attore diretto nella gestione della sicurezza e nella supervisione dei processi di stabilizzazione, con possibilità di mediazione e controllo su eventi strategici nella Striscia di Gaza e nella regione, compreso Libano e Siria occidentale.

La costruzione della base rappresenterebbe inoltre un rafforzamento della collaborazione militare tra Stati Uniti e Israele, già consolidata negli ultimi anni attraverso il supporto tecnologico e logistico fornito durante gli ultimi due anni di guerra. Gli Stati Uniti hanno già dispiegato sistemi missilistici avanzati per la difesa aerea e hanno partecipato alla protezione delle infrastrutture critiche israeliane durante la guerra dei tredici giorni tra Israele ed Iran, suggerendo come l’estensione di questa presenza potrebbe diventare una componente strutturale della politica di sicurezza nella regione, ma anche una formalizzazione della presenza americana in Israele, trasformando un ruolo finora prevalentemente di supporto temporaneo in un impegno permanente. Ciò potrebbe influenzare le relazioni tra Washington e Gerusalemme, introducendo nuove dinamiche di cooperazione ma anche potenziali frizioni in termini di autonomia strategica israeliana.

In termini strategici, l’iniziativa potrebbe rafforzare la posizione americana in un’area chiave del Medio Oriente, fornendo un punto di osservazione privilegiato sul Mediterraneo orientale e sui confini tra Israele, Egitto e le aree palestinesi. Una base del genere, se realizzata, consoliderebbe la capacità di Washington di intervenire rapidamente in situazioni di crisi e di assumere un ruolo centrale nella definizione delle priorità politiche e di sicurezza regionali.

In sintesi, la possibile costruzione di una base americana nel sud di Israele rappresenterebbe una trasformazione significativa della presenza americana nella regione, con impatti sul piano militare, politico e umanitario. La gestione diretta della sicurezza, il coordinamento degli aiuti e la supervisione operativa delle forze internazionali renderebbero gli Stati Uniti non solo un attore centrale nella fase di stabilizzazione post-conflitto della Striscia di Gaza ma anche una forza operativa in uno dei quadranti più critici della regione. Questa mossa potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, consolidando il ruolo strategico americano e aprendo una nuova fase nella cooperazione israelo-americana, caratterizzata da una presenza stabile e da un’influenza diretta sulle decisioni operative e politiche nell’area.

Tags: GazaIsraeleIsraele-HamasNino OrtoOsservatorio Mashrekstati uniti
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Nino Orto è un giornalista freelance specializzato in geopolitica e conflitti del Medio Oriente, con un focus particolare su Iraq, Siria e le dinamiche delle guerre nella regione. Da oltre dieci anni, analizza e racconta dal campo le aree di crisi più complesse al mondo, tra cui il conflitto israelo-palestinese, la guerra in Ucraina, il fenomeno delle migrazioni verso l’Europa, il jihadismo internazionale e le tensioni interreligiose tra sunniti e sciiti. Le sue analisi sono state pubblicate su testate internazionali come The New Arab e Fanack Chronicle, nonché su media italiani come Il Manifesto, The Post Internazionale e Equilibri. Nel 2014, ha fondato Osservatorio Mashrek, una piattaforma di approfondimento dedicata alle trasformazioni politiche e sociali della regione mediorientale. E’ autore del libro “Business, Piombo, Dollari: La privatizzazione della guerra irachena”, un’analisi dettagliata sul ruolo delle compagnie militari private nel conflitto iracheno e sulle implicazioni economiche e politiche della esternalizzazione della gestione della guerra ai privati.

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