Dopo l’accordo di cessate il fuoco del 14 ottobre 2025, la Striscia si trasforma in un mosaico di poteri locali: tra clan, reti armate e interessi regionali, emerge una nuova geografia del controllo.
(Photo Credit: Nino Orto)
Capire Gaza
La tregua del 14 ottobre 2025 tra Israele e Hamas, salutata come il primo passo verso la stabilità, ha in realtà aperto una fase di profonda ristrutturazione del potere nella Striscia di Gaza. Il vuoto lasciato dal ridimensionamento militare di Hamas e dal parziale ritiro israeliano ha favorito l’ascesa di nuovi attori locali – clan familiari, milizie e reti economiche – che oggi competono per il controllo del territorio e delle risorse.
La Striscia di Gaza si configura così come un sistema frammentato, in cui il potere si distribuisce lungo linee claniche e para-militari più che istituzionali, e dove Israele appare come l’unico arbitro esterno capace di condizionare gli equilibri interni.
Mentre Hamas cerca di ricompattarsi e “stringere l’equipaggiamento”, una rete di clan familiari e milizie locali sta infatti acquisendo sempre più peso sia militare che economico. Secondo le fonti aperte reperibili, alcuni di questi gruppi riceverebbero un presunto sostegno da Israele e che li vedrebbe dunque come strumenti di contenimento dell’influenza di Hamas.
I clan più attivi e le aree sotto controllo IDF
Dalla sigla dell’accordo di cessate il fuoco le Israeli Defence Force si sarebbero ritirate nella cosiddetta area gialla, fortificandosi in circa 40 postazioni costituite in alcuni casi in basi operative avanzate (FOB) comprese tra i governatorati di Gaza Nord, Gaza City, Deir Al Balah, Khan Yunis, e Rafah a sud. Tra quelle di rilievo spicca la postazione su Al Muntar Hill collocata a circa 82 metri sul livello del mare.
Tra i clan più attivi e considerato il più potente c’è quello dei Doghmush. Il clan in questione è tra quelli papabili insieme al leader dei Forze Popolari Yasser Abu Shabab alla guida di una milizia in chiave anti Hamas. I Doghmush sono conosciuti per traffici di droga, armi e sequestro di persona, e fondatori di una milizia salafita e jihadista come l’Esercito dell’Islam noto anche come Jaysh al-Islām e i suoi legami con lo jihadismo transnazionale dello Stato Islamico. Gli episodi di opposizione sono stati già riportati in scontri armati recenti appunto contro Hamas.
Recentemente emerge la figura di Hussam Al Astal, un leader attivo a Khan Yunis del clan al-Majayda. Ex ufficiale dell’Autorità Palestinese, ha da poco fondato le “Strike Force Against Terror”. In quanto clan Al- Majayda è storicamente legato ad Al Fatah. Al-Astal emerge come nuovo elemento di equilibri all’interno della Striscia di Gaza, in ciò che potremmo definire ormai come “aree di pertinenza” nel contrasto ad Hamas e ridisegnare gli equilibri clanici.
Lo stesso Al-Astal ha dichiarato che ben 4 gruppi armati agiscono in funzione anti-Hamas nell’ambito del “Project New Gaza”; un progetto che coinvolge anche Abu Shabab. La forza sarebbe collocata non molto distante da alcune postazioni IDF e ricevono supporto al di fuori della Striscia. Sempre Hussam Al-Astal avrebbe raggiunto un accordo con un coordinatore IDF per prevenire bombardamenti o “gun fight” in una zona individuata come “Green Zone”.
Un altro gruppo di peso è quello della famiglia Hellis, una storica famiglia palestinese, nel quartiere di Shejaiya a Gaza City, storicamente legata a Fatah. Dopo la parziale ritirata di Hamas, alcuni loro leader si sono riorganizzati militarmente formando milizie locali. Shejaiya è tra le zone oggi più contese.
Fra gruppi armati nuovi, riorganizzati e sciolti e ricostituiti. Questi in elenco sono solo i gruppi più rilevanti e influenti nella moltitudine di clan che interessano la Striscia di Gaza. Le IDF sembrano tollerare o addirittura incoraggiare la presenza di questi gruppi in funzione anti-Hamas e per cui il tema del cosiddetto disarmo diventa sempre più un concetto astratto.
A supporto della teoria ci sarebbe l’ex capo dello Shin Bet, Ronen Bar, che era a conoscenza dell’intenzione di armare le gang: tale affermazione però viene smentita costantemente dalle dichiarazioni ufficiali dei clan. Chi deve essere disarmato dunque, per quale fine e per assecondare quale obiettivo strategico di lungo termine?
Influenza economica e traffici illegali
Questi clan non sono solo strutture tribali a ordinamento para-militare, ma anche attori economici. Il contrabbando è la principale fonte di reddito: armi, droga, carburante e beni di prima necessità viaggiano lungo tunnel o via mare. Il clan Doghmush, in particolare, tra i clan ingaggiati per la scorta armata dei convogli umanitari e impedirne il saccheggio, sollevando cosi le IDF dai rischi derivanti dal trasporto e distribuzione. Gli al-Bakr controllano le attività di pesca e smuggling marittimo.
Alcuni clan possiedono risorse logistiche tali da fornire beni a interi quartieri e gestire il mercato nero e dunque controllare i prezzi dei beni; diventando fornitori alternativi rispetto a Hamas o all’UNRWA. Questo quadro ha ampliato la loro legittimità agli occhi di parte della popolazione, specialmente nelle zone più colpite dai bombardamenti e dalle carenze di cibo e sopratutto di sicurezza.
Il fronte anti-Hamas
Il ripiegamento delle IDF e il cessate il fuoco sottoscritto dalle parti ha aperto spazio all’espansione dei clan che approfittano del caos. Alcuni, come ad esempio Abu Shabab, gli Hellis, o Al Astal si presentano oggi come garanti della sicurezza contro Hamas e la sopravvivenza di Israele, e dunque attori di interesse strategico per il controllo della Striscia seppure nel contesto di profonda crisi umanitaria e sostanzialmente di anarchia dove il controllo si esercita con l’ascendente dell’autorevolezza e chi possiede più armi.
Israele ha colto questa dinamica come opportunità. Il premier Netanyahu ha confermato l’esistenza di canali di sostegno verso “clan ostili ad Hamas”. Lo stesso Avigdor Lieberman – ex ministro della Difesa e che dirige il partito Yisrael Beiteinu, – ha detto “Il governo israeliano sta fornendo armi a un gruppo di criminali e malfattori identificati con il gruppo dello Stato Islamico.” Le IDF dunque avrebbero fornito armi leggere ad alcuni di questi gruppi, permettendo loro di assumere compiti di polizia locale e formalmente di protezione dei convogli e salvare le vite dei soldati israeliani. Ma l’obiettivo secondario non di poco conto è chiaro: evitare che Hamas si riorganizzi e ostacolarle e sottrarre la loro influenza. Affermazioni, ripetiamo, che vengono poi smentite dagli stessi clan appellandosi alla retorica anti-sionista.
In risposta, Hamas ha lanciato una dura campagna interna dopo la firma del 14 ottobre 2025 che sigla la “pace”. Decine di esecuzioni sommarie sono state documentate nelle settimane successive al cessate il fuoco. Sospetti collaboratori e leader tribali sono stati eliminati, spesso senza processo con fucilazioni in strada. Questa repressione, tuttavia, ha solo rafforzato la narrativa di alcuni clan che si presentano ora come vittime e alternative credibili.
Scenari futuri
Il rafforzamento dei clan potrebbe portare a un rischio concreto di frammentazione della Striscia, che potremmo paragonare allo scenario somalo dopo la caduta di Siad Barre degli anni 90, in cui i paese era dominato dai cosiddetti “signori della guerra” costituendo poteri paralleli, in un contesto di “economia di sopravvivenza” ed assenza di autorità civile e mediatrice per la ricostruzione e rappresentanza dei palestinesi. Alcuni degli elementi che differiscono Gaza dalla Somalia è la totale assenza di una coalizione esterna e dell’ONU, ma solo Israele come garante assoluto della sicurezza.
L’unico attore è che vigila e condiziona le dinamiche interne è lo stato ebraico, e se pure si tratta di una presenza controversa, può impedire che Gaza precipiti nell’anarchia totale.



