La risoluzione del Consiglio di Sicurezza introduce una forza internazionale ed un’amministrazione transitoria per Gaza in un passaggio storico che segna la fine dell’unilateralismo israeliano e l’avvio di una gestione multilaterale del conflitto.
(Photo Credit/Alessio Tricani)
La decisione adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU è una delle svolte più incisive nella storia recente del conflitto israelo-palestinese. Con tredici voti favorevoli e le sole astensioni di Russia e Cina, l’organismo ha approvato la risoluzione presentata dagli Stati Uniti che istituisce una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) e una struttura di governance transitoria per la Striscia di Gaza. È un passaggio epocale in cui per la prima volta, un mandato internazionale entra direttamente nel territorio occupato nel 1967 con funzioni di sicurezza, controllo dei confini e supervisioni politiche.
La portata della decisione supera qualsiasi annuncio o retorica delle ultime settimane. Come ha scritto il giornalista israeliano Nadav Eyal, non si tratta né di un piano orchestrato da Benjamin Netanyahu né di un accordo che sarebbe stato raggiungibile “fin dal primo giorno” del conflitto. È piuttosto il risultato di una combinazione di fattori: il logoramento di Hamas, la crescente pressione internazionale e la volontà degli Stati Uniti di imprimere un corso nuovo al Medio Oriente, anche attraverso un processo di normalizzazione regionale.
La risoluzione accoglie diversi elementi della 20-point peace plan promosso da Donald Trump ed elaborato dopo l’inizio del conflitto. Il testo stabilisce che l’ISF affianchi Israele ed Egitto nel controllo delle frontiere, coordini la sicurezza interna con una polizia palestinese formata e selezionata, garantisca flussi umanitari e gestisca la progressiva demilitarizzazione delle milizie presenti a Gaza. In parallelo, viene istituito il Board of Peace, un organismo internazionale incaricato di supervisionare sicurezza, ricostruzione e riforme istituzionali, con l’obiettivo di guidare la Striscia verso un’autorità palestinese rinnovata e, almeno in prospettiva, verso una credibile strada verso l’autodeterminazione.
La reazione israeliana è stata immediata. Netanyahu ha ribadito l’opposizione a qualsiasi riferimento a uno Stato palestinese e ha promesso che la demilitarizzazione di Gaza avverrà “con ogni mezzo necessario”. Ancor più dura la risposta del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha evocato misure estreme contro i vertici dell’Autorità Palestinese in caso di riconoscimento internazionale della Palestina. Ma, mentre la leadership israeliana denuncia quello che considera un vincolo imposto dall’esterno, la risoluzione dell’ONU rappresenta, di fatto, la prima vera limitazione strutturale alla libertà d’azione militare di Israele nella Striscia dal 1967.
Sul fronte arabo, la reazione è stata complessa ma nel complesso favorevole. Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Indonesia avevano già sottolineato che solo un mandato ONU avrebbe permesso una loro partecipazione a una forza internazionale. L’ambasciatore algerino all’ONU ha ringraziato la Casa Bianca per l’impegno personale del presidente Trump nella mediazione del cessate il fuoco, ma ha ricordato che non potrà esserci pace duratura senza “giustizia per i palestinesi”.
Hamas ha invece respinto il testo, accusando il Consiglio di Sicurezza di voler imporre una tutela internazionale inaccettabile e di trasformare la forza multinazionale in un attore non neutrale, incaricato di disarmare la resistenza.
Sul piano geopolitico, il passaggio evidenzia un’altra ricaduta significativa in cui l’annuncio della vendita di F-35 ai sauditi, misura a lungo osteggiata da Israele. indica come Washington sia disposta a ridisegnare gli equilibri regionali, anche laddove ciò comporti tensioni con un governo israeliano sempre più isolato.
Il nodo politico conclusivo riguarda la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. Netanyahu spera che l’avvio di un processo formale, anche simbolico, possa arrivare prima delle elezioni. Ma a Riyadh fanno sapere che senza un percorso concreto verso lo Stato palestinese non ci sarà alcun passo avanti. Qualsiasi progresso dipenderà quindi dal principe ereditario Mohammed bin Salman, e non come risultato diretto di concessioni a Tel Aviv.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza segna dunque una frattura netta con il passato e sancisce l’internazionalizzazione della gestione del conflitto israelo-palestinese. Un nuovo attore, la Forza Internazionale di Stabilizzazione, si prepara a entrare in un territorio che per decenni è stato teatro esclusivo della contrapposizione tra Israele e Hamas.
Il futuro è incerto, ma una cosa è chiara: il Medio Oriente entra in una fase completamente nuova, e nulla, dai rapporti diplomatici ai calcoli strategici, sarà più come prima.


