A differenza della retorica israeliana che vorrebbe l’Iran come un nemico “pazzo” ed “irrazionale” che “risolve i problemi con la violenza”, Teheran e Tel Aviv hanno lavorato insieme per risolvere il problema, come qualsiasi creditore che si trova ad affrontare problemi nel recupero dei suoi debiti (di Redazione) Possibile che, aldilà della dialettica, vi siano convergenze d’interessi tra Tel Aviv e Teheran? Secondo Haaretz la risposta è affermativa. Il quotidiano israeliano ha infatti pubblicato recentemente uno speciale che analizza il rapporto tra Israele ed Iran evidenziando i vari aspetti di questa relazione, “che non si baserebbe su ostilità reale, ma su comuni interessi economici e sovrani, servita da un aspra retorica da entrambi i lati”.
In politica, dice il giornale, anche se la retorica di Israele che descrive Teheran come “neo-nazista“, e l’Iran che addita Tel Aviv come il “Piccolo Satana“, sono più che semplici slogan politici, in quanto le due parti in realtà sono realmente ostili fra di loro, nello stesso tempo sono due nemici che hanno anche degli interessi in comune, e che non tenderebbero alla mutua distruzione. A questo proposito, l’autore del documento cita l’esempio del lato economico della relazione, dal momento che l’accordo firmato nel 1957 dal governo di Israele con il governo dello Shah Pahlavi, che ha permesso la costruzione di un oleodotto che portasse il petrolio iraniano verso Israele e poi interrotto dopo la rivoluzione iraniana, non è mai stato pagato, con il paese ebraico che ha mantenuto un enorme debito verso la compagnia petrolifera iraniana.
A differenza della retorica israeliana che vorrebbe l’Iran come un nemico “pazzo” ed “irrazionale” che “risolve i problemi con la violenza“, Teheran e Tel Aviv hanno lavorato insieme per risolvere il problema, come qualsiasi creditore che si trova ad affrontare problemi nel recupero dei suoi debiti. L’autore ha poi specificato come l’agire della parte israeliana in tale questione dimostrerebbe anche l’aspirazione israeliana ad aprire le porte di nuovi colloqui e cooperazione in materia di economia e commercio con l’Iran, insieme con la vecchia cooperazione nella questione del petrolio e ad una soluzione “pacifica” per il problema del debito. Nello stesso tempo, secondo l’analista, vi sarebbe anche un grande vantaggio economico per Israele derivante dal dossier nucleare iraniano.
La questione, secondo il quotidiano israeliano, andrebbe quindi ricercata altrove: dal 1966 il paese ebraico ha un monopolio nucleare che lo aiuta ad evolversi e proteggersi nonostante le sue piccole dimensioni e la mancanza di personale e risorse. L’ “ambiguità nucleare” di cui ha goduto Israele dal 1969 fino ad oggi per mano degli Stati Uniti però potrebbe finire. Il programma nucleare iraniano cerca infatti di creare un “doppio monopolio” in Medio Oriente a scapito di Israele. Ecco perché Tel Aviv si opporrebbe al programma nucleare iraniano: al fine di mantenere la sua posizione di potenza economica in Medio Oriente, e non per la presunta “minaccia esistenziale” posta da Teheran.
Il documento riconosce infine come l’Iran non sia un nemico “folle” e non imporrà una escalation con Israele che possa trascinarsi in un effettivo confronto militare. La prova di questo, secondo l’analista, sarebbe la reazione iraniana alla recente uccisione di un suo generale in Siria, che ha evidenziato i livelli elevati di autocontrollo delle gerarchie iraniane a prescidere dalla retorica anti-israeliana.