“Diversamente dai Signori della Guerra africani degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, questi gruppi non utilizzano più la scusa della lotta per l’indipendenza e la libertà del proprio popolo, ma usano la religione come valvola di sfogo per i giovani africani alle prese con le difficoltà di una vita povera e fatta di stenti” Osservatorio Mashrek inaugura con questo articolo un dossier di più puntate che approfondirà il tema del jihadismo in Africa e tutte le sue ramificazioni locali e regionali nel continente. Con l’assoluta contemporaneità della sfida a tutto campo lanciata dallo Stato Islamico all’Occidente, che ha spiazzato le stesse leadership jihadiste tradizionali, il lavoro di approfondimento cercherà di fare luce sull’operato di tutti quei gruppi attivi in Africa che hanno raccolto la sfida lanciata dallo pseudo-califfo iracheno Abu Bakr al-Baghdadi. Quali sono le particolarità del jihadismo africano? Su quali basi teoriche si fonda il movimento? Che tipo di gruppi jihadisti operano in quell’area? Quali sono le relazioni tra le varie milizie? Queste le questioni principali alla quale lo studio cercherà di dare delle risposte.
(di Marco Napoli-corrispondente dall’Africa) Nell’immaginario collettivo il deserto viene visto come una grande mare sabbioso, puntellato da immense dune scolpite dal vento dove il silenzio regna incontrastato. Un posto duro, dove la vità è difficile ma allo stesso tempo affascinante, alimentato dai racconti dei primi esploratori o di scrittori come Stefano Malatesta, Thesiger, Laslo von Almasy, Charkes Doughty, che al deserto hanno dedicato la loro vita e le loro opere.
Tra le sue dune e i suoi tramonti idilliaci sono nate grandi civiltà e sono state costruite città come Timbuktu, che nei secoli sono state descritte come favolose e ricchissime oasi. Tuttavia, qualcosa nell’ultimo decennio è cambiato. Il deserto delle carovane dei cammelli, dei Malatesta e dei leggendari Tuareg, si è rapidamente trasformato nell’alcova di molti gruppi terroristici. Ora, le mirabolanti carovane di cammelli vengono sostituite da colonne di jeep e camion che trasportano droga, armi e esseri umani lungo un numero impressionante di rotte che si diramano per tutto il deserto e oltre.
I piccoli contrabbandieri che per secoli hanno viaggiato in lungo e largo attraverso il deserto per sfuggire agli occhi della polizia si sono trasformati in signori della guerra, che gestiscono degli imperi commerciali e hanno sostituito le vie dei loro commerci in vere autostrade della droga che dal Sud America attraversano l’oceano e l’Africa, per invadere i mercati europei. Una delle vie più importanti e quella che passa attraverso i porti della Costa d’Avorio e della Guinea Bissau, gestiti dai cartelli sudamericani e che attraversano il Niger, il Mali e la Libia.
Con il degradarsi delle primavere arabe e la caduta del regime di Gheddafi, i commerci illegali si sono moltiplicati grazie al fallimento degli Stati travolti dalla guerra e dalla corruzione. Quelli che erano piccoli trafficanti ora sono diventati i nuovi Signori della guerra, circondati da schiere di mercenari ben equipaggiati e che possiedono la capacità di destabilizzare o alimentare le guerre. Grazie al fallimento di uno Stato e alla confusione che si determina con lo scoppio di un conflitto, questi signori possono gestire con tranquillità i loro traffici, e possono anzi aumentarli grazie al bisogno delle armi da parte dei vari eserciti in conflitto e alla corruzione dilangante che gli permette di attraversare le frontiere senza problemi.
La fascia sahelo-sudanese immediatamente a sud del Sahara è da sempre una regione pervasa dall’instabilità e dall’insicurezza. Questo succede a causa di due motivi principali: da una parte, i processi di desertificazione, la difficoltà di far conciliare le esigenze dei vari stati contigui, e le tribù nomadi che storicamente sono allergiche alle frontiere. Dall’altra,invece, i motivi si identificano nella difficile convivenza fra le varie tribù musulmane e popolazioni cristianizzate, soprattutto a causa del radicalismo degli ultimi decenni che si è sviluppato all’interno della corrente salafista.
Il primo ingresso dell’Islam nel continente africano avviene intorno al 646 con la conquista dell’Egitto. E’ un Islam tollerante e apolitico che rispetta gli usi, i costumi e le tradizioni della società africana senza destabilizzare le sue strutture societarie. Si può dire che inizialmente l’Islam africano sia di matrice moderata e spirituale, mescolato al fatalismo e alla spiritualita’ degli africani, lontano dai sofisticati dogmi arabi. E’ un Islam che si caratterizza sopratutto attraverso due grandi correnti, da cui si generano delle confraternite.
Una delle due correnti principali è il Sufismo, una corrente moderata che si basa su un approccio spirituale e dedicato all’amore verso il prossimo, che si lega indelebilmente al tessuto sociale africano. Infatti in questo continente il suo sviluppo, piu’ che altrove, è un dato di fatto visto il numero elevato di confraternite e di adepti. Secondo alcuni storici, l’origine del misticismo sufi risale all’ottavo secolo quando alcuni musulmani cominciano a criticare le autorità che si sono allontanate dai precetti del profeta e iniziano e predicare l’unione con Dio attraverso l’amore di Dio. Con loro la corrente inizia a svilupparsi come un orientamento mistico in contrapposizione ad una visione giuridico/legale dell’ortodossia musulmana (ed e’ per questo aspetto che ne faciliterà la diffusione in Africa).
In contrapposizione ad esso, si sviluppa una corrente chiamata Salafista che spinge verso una radicalizzazione dei comportamenti religiosi a causa di una interpretazione ortodossa dei precetti. Il Salafismo, che prende origine dalla parola araba “salaf” cioe’ “antichi/antenati” predica il ritorno ad un Islam puro, quello delle origini che secondo la loro visione con i secoli avrebbe perso le sue caratteristiche originarie. Attraverso il “jihad” come strumento di difesa (della nazione islamica) e poi di offesa (contro questo contagio sociale esterno), possono riportare l purezza nella loro religione. Osservano una lettura severa del Corano che fa nascere la necessità di dar vita a una vera e propria rinascita non solo religiosa, ma anche sociale, culturale e politica dell’Islam.
E’ importante tuttavia sottolineare che la vera scuola salafita non ha nulla a che fare con l’evoluzione “militante” del salafismo attuale, che nasce sopratutto nel 900 con la creazione dei “Fratelli Musulmani” di Hassan Al Banna in Egitto nel 1928, dove inizia la loro connotazione politica. Negli anni ’50 un altro egiziano, Sayed Qutb (1906-giustiziato da Nasser nel 1966), anche lui membro dei Fratelli Musulmani, teorizzerà la presa del potere e la costituzione di uno Stato islamico attraverso la lotta armata. In seguito diventerà il referente ideologico di molti movimenti terroristici come Al Qaeda, la Jihad Islamiyah e la Jamaa Islamiyah in Egitto, il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento in Algeria, Al Qaida nel Maghreb Islamico in tutta la fascia del sahel sub-sahariano, il Gruppo Islamico Combattente Libico in Libia, i Taleban in Afghanistan, i Boko Haram della Nigeria, gli Al Ittihad Al Islami e le Corti Islamiche e poi gli Shabaab in Somalia, delle cellule dell’Allied Democratic Front (infiltrato da estremisti del Al Tabligh) in Uganda.
Si può dire che il salafismo sia diventato il sinonimo di jihadismo ma è una semplificazione che non aiuta di certo a comprendere i tempi duri che stiamo vivendo, sopratutto perchè non tutti i salafiti sono jihadisti e, per contro, non tutti i jihadisti sono salafiti. Quindi, nonostante la maggioranza dei gruppi terroristici siano di matrice salafista, non si può legare indisolubbilmente il terrorismo con il salafismo visto che si suddivide in tre differenti correnti: uno moderato che rifiuta un approccio politico dell’Islam, uno riformista o modernista che subordina la politica alla religione, e infine quello “jihadista” che rifiuta la predicazione e esalta la guerra santa, sia contro il mondo musulmano che contro l’occidente.
Diversamente dai Signori della Guerra degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, questi gruppi non utilizzano più la scusa della lotta per l’indipendenza e la libertà del proprio popolo, ma usano la religione come valvola di sfogo per i giovani africani alle prese con le difficoltà di una vita povera e fatta di stenti. Le durezze della vita vissuta in povertà toccano aspetti dell’esistenza personale e sociale che non sono efficacemente approfonditi dagli studi occidentali. Sono privazioni che i poveri soffrono nella stima sociale e nell’autostima, negli affetti, nella sicurezza di vita, nella capacità di garantire un futuro ai figli, nell’accesso ai diritti civili e politici, e possono avere conseguenze persistenti sull’arco di più generazioni.
Questi gruppi hanno trovato nella sofferenza, nelle difficoltà quotidiane della popolazione, nelle ingiustizie sociali causate dalla presenza di regimi totalitari, il sottobosco ideale per alimentare le proprie fila. Lo stato di indigenza delle popolazioni ha permesso all’estremismo di diventare la leva della rivalsa sociale diventando il placebo teologico al posto del più classico fatalismo. In questo continente le persone che vicono sotto la soglia dei 2 dollari il 73% nell’Africa e nella zona subsahariana si arriva fino al 73,9%.
Dati allarmanti e dati su cui fanno leva le rivendicazioni dei terroristi che in queste percentuali non hanno difficoltà a far emergere il senso di rivalsa delle persone. Inoltre, il 70% della popolazione africana è analfabeta, e qui si inserisce la dottrina terroristica che può permettersi di far leva sulla parola di Dio e di rivendicarne l’autenticità senza rischiare di trovare chi li può contrastare. In parole povere il radicalismo si è appropriato delle problematiche sociali locali per legittimarsi e ha messo da parte il fatalismo che contraddistingue la cultura africana.
Negli ultimi decenni la corrente salafista ha intrapreso la strada del radicalismo, che in alcuni casi si è trasformato in estremismo. La sua radicalizzazione nasce sopratutto in Algeria negli anni novanta a causa di una lunga guerra civile. Qui la violenza jihadista è scoppiata nel 1991 contro il governo che si rifiutava di riconoscere il risultato elettorale favorevole agli islamisti. Il primo gruppo terroristico che viene riconosciuto nell’area sahariana è il Gruppo Islamico Armato, che nei decenni seguenti si espanderà nell’Africa subsahariana, soprattutto grazie ai traffici che gli permisero di sostenere la loro lotta.
Negli anni successivi nasceranno altri gruppi come il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento in Algeria, che ben presto diventa un “modello” per il gruppo Jihad Islamiyah e la Jamaa Islamiyah in Egitto, Al Qaida nel Maghreb Islamico in tutta la fascia del sahel sub-sahariano, il Gruppo Islamico Combattente Libico in Libia, il Gruppo Islamico Combattente Marocchino, il Fronte Islamico Tunisino (ed anche l’Ennadha di Rachid Gannouchi nella sua prima configurazione nella lotta contro Ben Ali) in Tunisia e molti altri ancora.
Quindi, se ci si appresta con la giusta attenzione si evince che il problema non è la contrapposizione tra il musulmano e il cristiano o tra l’oriente contro l’occidente, ma la difficile convivenza pacifica all’interno della stessa religione causata dalla povertà dilagante di questi territori. Ovviamente ci sono altri importanti fattori, le tradizioni, gli usi e i costumi dei diversi paesi, la lotta per il potere, la voglia di dominazione, il petrolio, le diversità etniche, il deficit di democrazia, ecc…
Inoltre questi gruppi, avvalendosi dei nuovi mezzi di comunicazione, sono riusciti a creare un network jiahdista globale che fa capo ad al-Qaeda, e che riesce ad influenzare le organizzazioni ribelli locali trasformandole in minacce regionali o internazionali. Secondo il Country Reports on Terrorism 2013 pubblicato dal Dipartimento di Stato Usa, nel capitolo dedicato all’Africa, i maggiori gruppi terroristici presenti nel continente hanno diversi legami per la compravendita delle armi, della droga o degli esseri umani, ovvero i traffici più redditizi.
Secondo il database sul terrorismo globale del Dipartimento per la sicurezza americano, gli attentati sono passati da 400 nel 2001 a 2 mila nel 2014. In alcuni paesi la jihad è riuscita a mescolarsi ai conflitti etnici e a lotte fratricide già presenti nel continente e ha creato delle sacche di proliferazione che ora spaventano l’Occidente.