Un riavvicinamento strategico con funzione anti-iraniana e per la stabilità del quadrante israelo-siriano.
Lo storico incontro tra l’ex presidente americano Donald Trump e il presidente siriano Ahmed al-Sharaa, svoltosi a Washington, segna l’avvio di una fase di profondo riassetto negli equilibri mediorientali. Dopo più di un decennio di isolamento politico e sanzioni economiche, la Siria torna infatti a occupare un posto centrale nelle strategie statunitensi. Ma dietro l’apparente distensione diplomatica si nasconde un obiettivo ben più concreto: ridisegnare il mosaico del Medio Oriente in funzione anti-iraniana e, al tempo stesso, consolidare la stabilità dei confini orientali di Israele in uno dei quadranti più delicati del mondo.
Un incontro simbolico e pragmatico
L’immagine dei due leader che si stringono la mano nella Roosevelt Room della Casa Bianca ha fatto rapidamente il giro del mondo. Trump, che ha fatto della discontinuità diplomatica una cifra del suo stile, ha definito il vertice “l’inizio di un nuovo capitolo nelle relazioni tra Stati Uniti e Siria”. Al-Sharaa, succeduto alla guida del Paese dopo la fase post-Assad, ha parlato invece di “una nuova opportunità per la Siria di rientrare nella comunità internazionale”.
Dietro le parole di circostanza, tuttavia, si leggono con chiarezza gli interessi convergenti che hanno portato a questo riavvicinamento. Per Washington, la Siria rappresenta oggi un potenziale strumento di contenimento dell’influenza iraniana, che negli ultimi anni ha consolidato la propria presenza militare e politica nella regione, dal Libano all’Iraq. Per Damasco, invece, l’apertura americana significa la possibilità di uscire da un lungo isolamento economico e di attrarre investimenti indispensabili per la ricostruzione del Paese.
La funzione anti-iraniana
Secondo un’analisi del Washington Institute for Near East Policy, la mossa di Trump rientra in una più ampia strategia di “re-ingaggio selettivo” nel Medio Oriente, volta a erodere il potere di Teheran attraverso nuove alleanze pragmatiche. La Siria, storicamente alleata dell’Iran, sembra oggi disposta a ridimensionare tale legame. Al-Sharaa ha dichiarato che “la sovranità siriana deve prevalere su ogni influenza esterna”, una frase che a molti osservatori è sembrata un messaggio diretto agli ayatollah.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno colto l’occasione per proporre un parziale allentamento delle sanzioni previste dal Caesar Act, in cambio di una graduale riduzione della presenza di milizie filo-iraniane sul territorio siriano. A Washington si spera che questo processo, seppur lento, possa contribuire a spezzare il cosiddetto “corridoio sciita” che seppur ridimensionato dalla campagna israeliana a partire dal 7 Ottobre collega ancora Teheran al Mediterraneo passando per Iraq, Siria e Libano.
Trump ha ribadito la sua linea dura contro Teheran dichiarando che l’Iran “must stop sponsoring terror, halt its bloody proxy wars and permanently and verifiably cease its pursuit of nuclear weapons”, come riportato da Al Jazeera.
La stabilità dei confini orientali di Israele
Un altro tema centrale dell’incontro è stato quello della sicurezza lungo i confini orientali di Israele. Negli ultimi anni, la presenza di gruppi armati nel sud della Siria aveva alimentato le preoccupazioni di Tel Aviv e anche le ultime operazioni nei pressi delle alture del Golan hanno portato non pochi malumori in Israele. La Casa Bianca punta ora a coinvolgere Damasco in un accordo di stabilizzazione che preveda il controllo rigoroso del territorio e la riduzione delle infiltrazioni di milizie filo-iraniane o jihadiste.
Fonti diplomatiche israeliane, citate dal Times of Israel, confermano che il governo Netanyahu guarda con cautela ma anche con un certo interesse a questa evoluzione. Non è escluso che, in prospettiva, la Siria possa essere invitata ad aderire al quadro degli Abraham Accords, il processo di normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi. Un’ipotesi ancora lontana, ma che testimonia la portata potenzialmente storica del riavvicinamento.
Cooperazione antiterrorismo e reintegrazione diplomatica
Oltre agli aspetti geopolitici, l’incontro ha prodotto intese operative sul fronte della sicurezza. La Siria ha annunciato la propria adesione alla Coalizione globale contro lo Stato islamico, diventando così il 90° Paese membro. In cambio, Washington ha promesso supporto tecnico e intelligence condivisa, nonché l’apertura di un canale di cooperazione militare presso la base aerea di Damasco.
Questo passo, secondo Reuters, rappresenta “un test di fiducia reciproca” e potrebbe preludere a una normalizzazione graduale delle relazioni diplomatiche. Gli Stati Uniti hanno infatti già riaperto un ufficio di collegamento nella capitale siriana, mentre l’ambasciata siriana a Washington è stata autorizzata a riprendere alcune attività consolari.
Economia e ricostruzione: la leva della diplomazia
Al centro delle discussioni vi è anche la questione economica. La Siria, devastata da oltre dieci anni di guerra, ha bisogno di ingenti capitali per ricostruire infrastrutture, reti energetiche e aree urbane. Trump ha lasciato intendere che le imprese americane potrebbero essere coinvolte in progetti di ricostruzione, a patto che Damasco dimostri “progressi concreti in materia di diritti umani e di allontanamento da Teheran”.
L’amministrazione americana valuta inoltre la possibilità di creare un fondo multilaterale, con la partecipazione di Arabia Saudita, Emirati e Qatar, per finanziare progetti di ricostruzione sotto supervisione internazionale, come segnalato dal The Guardian.
Un equilibrio fragile ma carico di potenzialità
Il vertice Trump–al-Sharaa non chiude le fratture del passato, ma apre una finestra di opportunità diplomatica che pochi avrebbero ritenuto possibile fino a pochi mesi fa. La Siria potrebbe diventare un tassello chiave di un nuovo equilibrio regionale in cui gli Stati Uniti tornano protagonisti diretti, Israele rafforza la propria sicurezza e l’Iran vede ridimensionato il proprio raggio d’azione.
Resta da vedere se questo fragile riavvicinamento saprà resistere alle molte pressioni contrarie: la diffidenza di Mosca, la rivalità con Teheran e la complessa realtà interna siriana. Ma, per la prima volta dopo anni di guerra e isolamento, Damasco torna a essere non solo un problema, ma anche una possibile parte della soluzione.



