“Come ridimensionare la minaccia jihadista senza un coinvolgimento in prima linea dei propri eserciti? E’proprio questo aspetto quello che maggiormente preoccupa gli strateghi”. (Di Nino Orto) Nelle ultime settimane la Russia ha aumentato notevolmente la propria presenza militare in Siria in funzione anti-IS a sostegno dell’alleato Bashar al-Assad. Nello stesso tempo, gli Stati Uniti, insieme ai propri alleati regionali (in particolare Turchia e Arabia Saudita), nonostante gli iniziali tentennamenti sono sempre più consapevoli di dover trovare un equilibrio tra la dialettica politica e le esigenze militari nel Siraq, anche se questo potrebbe comprendere la rinuncia ad ogni pretesa di destituire Assad.
Ma cosa è successo per indurre tale repentino cambio di rotta? La risposta va cercata in Iraq, a Baijii, nel governatorato di Salah al-Din, regione strategica a nord-ovest di Baghdad, dove lo Stato Islamico non solo sopravvive all’offensiva governativa, ma continua ad accrescere la propria presa sul territorio, migliorando la gestione politica e sociale dei popoli sotto il loro controllo nonchè l’organizzazione militare dello Stato.
Proprio quest’ultimo aspetto, quello militare, è ciò che maggiormente preoccupa gli strateghi: come ridimensionare la minaccia jihadista senza un coinvolgimento in prima linea dei propri eserciti? La coalizione internazionale impegnata nei raid contro lo Stato Islamico fino ad oggi si è rivelata inefficace, o non all’altezza dei risultati sperati.
Stesso ragionamento vale anche per gli attori locali impegnati nella lotta diretta ai jihadisti – in particolare i Peshmerga e l’esercito iracheno coadiuvato dalle milizie sciite – entrambi apparentemente non troppo desiderosi di “spingere a fondo” contro i ben equipaggiati e addestrati combattenti di Baghdadi.
A preoccupare è sopratutto la piaga della corruzione tra i militari governativi, con l’Esercito iracheno che ha rischiato di crollare per ben due volte durante il 2014, nonostante più di 20 miliardi di dollari spesi dagli Stati Uniti per la formazione della truppa. Proprio l’andamento delle operazioni dell’esercito iracheno contro l’IS è infatti quella che desta i maggiori interrogativi, soprattutto a Washington, e potrebbe influenzare fortemente le prossime mosse internazionali contro la milizia.
La campagna per la riconquista dai jihadisti dell’enorme raffineria di Baijii, la più grande dell’Iraq, è da settimane ad un “punto morto“. Il fallimento dell’esercito di Baghdad a riprendere il complesso dopo più di 15 mesi di combattimenti mette infatti in discussione anche i piani del governo per riprendere la città di Mosul dai mujāhidīn.
Come riferito da media arabi, la riconquista della raffineria è un punto centrale della strategia anti-Is: aiuterebbe ad aumentare il morale dei soldati e a creare un avamposto nella regione per la successiva campagna di Mosul. Ma la realtà è ben altra.Le forze governative e i miliziani, sostenuti dagli attacchi aerei a guida Usa, si trovano ad affrontare cecchini, attentatori suicidi, ordigni e altre trappole esplosive lungo le strade intorno la zona.
Negli ultimi giorni, lo Stato Islamico avrebbe ritirato i propri combattenti esausti da Baijii e li starebbe sostituendo con forze fresche provenienti dal nord attraverso le città di Hawija e Sharqat, secondo quanto riferito da un leader tribale alla Reuters. Secondo fonti militari citate dall’agenzia britannica, sarebbero inoltre intorno ai 1.500 i miliziani arrivati all’inizio di questo mese per iniziare a fortificare le parti meridionali e occidentali del complesso con trincee e barriere.
Il gruppo continua ad inviare rinforzi, nonostante la perdita di circa 500 combattenti nel periodo tra luglio e settembre 2015 ( a riferirlo sono i comandanti statunitensi alle agenzie internazionali), perchè vuole impedire l’avanzata governativa verso la strada principale che attraversa Baijii, fondamentale per qualsiasi tentativo di riprendere Mossul e quindi ridimensionare fortemente la proiezione regionale del gruppo.
La situazione, d’altronde, è favorevole ai jihadisti perchè le complesse dinamiche tribali e l’indotto prodotto dall’estrazione petrolifera della raffineria complicano ogni possibile successo di Baghdad.
Come dichiarato da Michael Cavalieri, un esperto di Iraq dell’Washington Institute, “i governativi cercano di strappare agli insorti il controllo del territorio intorno Baijii dal 2003, perfino quando i marines erano in Iraq è stato impossibile prenderne totalmente il controllo. La frammentazione delle tribù della regione rende difficile creare un consenso anti-IS tra i leader locali, mentre, al contrario, i jihadisti usano i soldi della raffinazione e del contrabbando per cooptare la popolazione locale“.