I ricercatori dicono che non è necessariamente la dimensione del conflitto ad attirare l’attenzione dei media. (di Nino Orto) Mentre i conflitti in Siria, Iraq, Ucraina continuano a fasi alterne ad essere coperti dai media occidentali, circa trenta altri conflitti ricevono poca o nessuna copertura dalla stampa internazionale, con la mancanza di attenzione della comunità internazionale che, secondo gli esperti, potrebbe avere gravi conseguenze per milioni di persone.
Le guerre civili nella regione del Darfur occidentale e del Sudan sono infatti quasi scomparsi dai media, nonostante solo in Darfur ci sia la presenza di almeno 2,4 milioni di profughi. Anche il Sud Sudan, alle prese con una crisi socio.politica senza precendenti, ha urgente bisogno di attenzione, come riferito da Jean-Marie Guehenno, presidente del think tank con sede a Bruxelles “International Crisis Group“, che attualmente traccia l’andamento di più di 30 conflitti a livello globale.
L’anno scorso il Sud Sudan era classificato, al fianco di Afghanistan e Siria, come i tre paesi più pericolosi al mondo, in un indice annuale compilato dall’Istituto per l’Economia e la Pace. “La violenza orribile che si consuma in Sud Sudan è strettamente correlata alla mancanza di pressione da parte dell’opinione pubblica mondiale“, ha dichiarato Guehenno alla Reuters Foundation Thomson.
Anche la Nigeria è un paese dove si sottostimano sistematicamente i conflitti interni anche se “potenzialmente molto gravi“. E se gli attacchi da parte dei militanti islamici di Boko Haram hanno ottenuto qualche copertura dai media occidentali, altri focolai di tensioni nel paese non interessano. Se l’attuale Presidente nigeriano Goodluck Jonathan perdesse le elezioni nel mese di febbraio, le tensioni nella ricca regione di petrolio del Delta del Niger potrebbero divampare. “Ma questo non interessa” ha dichiarato Guehenno. “Se si arrivasse alla violenza nel periodo successivo alle elezioni, poi improvvisamente questa notizia dalla Nigeria sarà la più importante per Africa. Ma sarebbe meglio se questi problemi venissero affrontati oggi piuttosto che domani” ha aggiunto.
Il numero dei conflitti nel mondo è stato relativamente stabile negli ultimi dieci anni, in un range compreso tra 31 e 37, con il numero di rifugiati in fuga dai combattimenti che nel 2015 è salito al suo livello più alto dal 1996. I conflitti che interessano ai grandi media mainstream mondiali tuttavia sembrano rimanere limitati.
I combattimenti nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo hanno causato lo sfollamento di almeno 770 mila persone nel 2014, portando il numero totale degli sfollati a circa 2,7 milioni, in un paese di 68 milioni di persone. Nessuna notizia. I conflitti in corso in Somalia, Yemen, Libia, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Afghanistan hanno invece sempre meno attenzione dei giornalisti e analisti internazionali dopo la partenza di molte truppe straniere.Perchè?
I ricercatori dicono che non è necessariamente la dimensione del conflitto ad attirare l’attenzione dei media. A questo proposito, Virgil Hawkins, professore associato di relazioni internazionali presso l’Università di Osaka in Giappone, cita il conflitto israelo-palestinese perchè “riceve notevole attenzione dei media, anche se il bilancio delle vittime è piccolo rispetto al Congo“. Hawkins ha inoltre confrontato la copertura mediatica determinata dall’attacco islamista contro la rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi con il relativo silenzio su una serie di omicidi di massa di Boko Haram in Nigeria avvenuto durante lo stesso arco temporale. “Le vere ragioni delle differenze nella copertura sono meno legate alle atrocità in sè, mentre e più correlata a dove, e contro chi, le atrocità sono perpetrate“, ha scritto.
Ci sono molti piccoli conflitti a lenta combustione in paesi come l’India, la Thailandia, la Russia, la Turchia, Myanmar e l’Etiopia, ma non dovrebbero essere ignorati, ha detto il ricercatore. Conflitti su piccola scala spesso diventano quelli principali, perché questi si collegano a un problema più ampio, ha enfatizzato il ricercatore.
Per anni nessuno prestò molta attenzione ai piccoli conflitti nel nord del Mali, fino a quando si creò l’occasione per i gruppi jihadisti di formare un movimento transnazionale. “Poi, improvvisamente diventano una questione strategica” ha concluso Guehenno.