“Oggi l’industria PMSC comprende centinaia di imprese che operano in più di 50 Paesi in tutto il mondo, dove lavorano per i Governi, le istituzioni internazionali e le corporations, e comprendono una grande varietà di strutture giuridiche: società private, società quotate in borsa, e controllate di entità molto maggiori” (Di Nino Orto) Sono passati quattordici anni da quando le Torri del World Trade Center di New York implodevano, si accartocciavano su sé stesse, colpite da due aerei di linea dirottati da miliziani del gruppo jihadista di al-Qaeda. Da quel giorno, l’11 settembre 2001, i termini “terrorismo” ed “estremismo islamico” entravano prepotentemente nelle case dei cittadini occidentali. Poi si sono imposte altre espressioni; “guerra al terrorismo”, “stati canaglia” – in verità, inaugurata, questa, da Ronald Reagan nel 1980, facendo riferimento alla Libia di Muammar Gheddafi-, il concetto di “regime change” eclissò quello di “sovranità nazionale“. Nulla era come prima. Si andava in guerra. In Afghanistan, in Iraq. Contro il Male, con gli Stati Uniti.
A quattordici anni dall’inizio della guerra al terrorismo, dopo due sanguinosissime guerre di cui ancora non si vede la fine, con un medioriente spezzettato ed in preda ad isterismi confessionali ed un Europa in piena recessione economica, oggi siamo (e resteremo) in Afghanistan, ritorniamo in Iraq, facciamo la voce grossa con la Russia, sempre contro il Male. Sempre con gli Stati Uniti. Non è cambiato nulla dunque? Forse, ma sicuramente è cambiato il modo di fare la guerra, di gestirla, di “comprarla”.
La guerra in questi anni è stata privatizzata, “relegata” a società d’affari, l’offensiva lanciata a partire dal 2001 dagli Stati Uniti d’America contro il terrorismo internazionale ha causato una massiccia espansione delle compagnie militari private, nonché il loro utilizzo da parte dei Paesi dell’Europa occidentale e del Nord America. Le guerre si combattono oggi non più con gli eserciti, ma con i “professionisti della guerra”.
Studi sulla privatizzazione ed esternalizzazione delle guerre indicano, infatti, come il rapporto di ufficiali militari per imprenditori privati sia passato da 1:60 (1 ufficiale ogni 60 contractors) durante la prima guerra del Golfo (1991), a circa 1:130 nei recenti conflitti in Afghanistan e in Iraq. L’esternalizzazione verso il settore privato ha creato, inoltre, una grande e prospera industria, con stime sui ricavi che si aggirano dai 20 ai 100 miliardi annui, e questo nonostante non sia un settore ad alta intensità di capitale, come potrebbe invece essere una struttura pubblica militare. La crescita delle PMSC (Private Military Security Company) riflette chiaramente il nuovo volto del business della guerra, unito al significativo ruolo degli imprenditori privati all’interno delle strutture militari nazionali, strutture nazionali che esternalizzano progressivamente funzioni un tempo di esclusivo appannaggio delle Forze Armate.
Inoltre, queste dinamiche non investono solo gli Stati nazionali, ma anche Organizzazioni internazionali come l’ONU e grosse Ong. Dalla seconda metà degli anni novanta le Nazioni Unite hanno utilizzato le Private Military Security Company per una estrema varietà di compiti, compresi i servizi specialistici come lo sminamento, l’intelligence, i servizi di supporto, e i più tradizionali servizi di sicurezza armati e non armati. Nelle operazioni umanitarie, PMSC nazionali ed internazionali vengono sempre più frequentemente schierate per la protezione del personale e delle infrastrutture, per la valutazione dei rischi, o per la formazione del personale di sicurezza. Secondo i più benevoli, in situazioni estreme l’utilizzo di contractors, anche se da una parte può implicare l’uso della forza armata per prevenire gli attacchi, dall’altra consente la presenza delle strutture umanitarie anche in luoghi particolarmente turbolenti del globo.
Anche se le scarse informazioni ufficiali rendono difficile stabilire se questo fenomeno senza precedenti sia generalizzato (come è nel caso degli Stati Uniti e del Regno Unito) ad altre Nazioni; studi attendibili dimostrano che la proliferazione e l’accettazione di aziende private di sicurezza sia un fenomeno generale in quasi tutta Europa, con Paesi come la Polonia, la Turchia, Germania, Francia e Spagna, e ora Ucraina, che stanno avendo un consistente e crescente sviluppo nel settore della sicurezza privata. L’enorme riserva di contractors, insieme alla crescente domanda di aziende private militari e di sicurezza, hanno infatti creato in alcuni Stati una dipendenza irreversibile all’interno, sollevando preoccupazioni sulla reale capacità dei governi riguardo il controllo delle proprie attività maggiormente sensibili.
La statunitense IAP World Service, ad esempio, con più di 7.000 dipendenti e un fatturato di un miliardo e duecento milioni di dollari l’anno, fornisce un supporto logistico vitale per il Governo degli Stati Uniti, sia all’interno del territorio nordamericano che per le truppe statunitensi dislocate in tutto il mondo. Tra i servizi forniti, qualsiasi tipo di «servizi basilari per il personale civile e militare in teatri di guerra, la gestione di attività e infrastrutture di qualsiasi dimensione ed in ogni parte del mondo». Un’altra azienda statunitense, la MPRI, possiede numerosi contratti sensibili con l’Esercito degli Stati Uniti tra cui: il supporto organizzativo nelle gestione delle scuole militari delle Forze Armate USA, la fornitura di istruttori, la formazione e supporto tattico, la valutazione e l’organizzazione dello staff per lo US Army, lo US Space and Missile Defense, l’Ufficio del Segretario della Difesa, nonché lo sviluppo e sostegno alla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA).
Sulla base di questi dati è evidente la responsabilità che, anche se in forma societaria, il fenomeno del mercenarismo rischia di assumere, non solo all’interno degli Stati Uniti. L’UNWG ha già messo in guardia contro i pericoli di questa dipendenza: «alcune compagnie private militari e di sicurezza sono cresciute così potenti in termini di equipaggiamenti militari e logistici, da diventare partner indispensabili per alcuni Governi in campo militare e nelle attività di sicurezza. Questa dipendenza potrebbe portare ad una situazione in cui tale partenariato possa diventare predominante rispetto alla considerazione del rispetto dei diritti umani e delle società».
Nazioni europee come la Serbia e Cipro, in cui vi è una totale assenza di regolamentazione delle PMSC, forniscono esempi di questo tipo. In questi Paesi, infatti, la sicurezza privata costituisce un settore non regolamentato, che rischia di scatenare numerose conseguenze indesiderate. Tra queste, la creazione di collegamenti tra la criminalità organizzata e le imprese di sicurezza privata, un pericoloso accentramento nelle mani dei privati di funzioni para-statali, o la costruzione di relazioni poco cristalline tra le società di sicurezza private e la Polizia nazionale. Oltretutto, un’altra caratteristica tipica delle aziende della fiorente industria militare privata è data dalla loro capacità di operare come ‘imprese virtuali’, con strutture simili alle aziende di e-commerce che, tramite i propri database, reperiscono personale qualificato e sub-appaltatori specializzati pronti per l’uso.
La conseguenza principale dell’abbassamento di questi costi fissi è che permette un posizionamento globale e, in un mondo ormai globalizzato, i potenziali dipendenti di queste PMSC possono essere contattati e assunti in qualsiasi parte del globo. Oltretutto, in maniera simile ad aziende di altri settori, molte delle nuove agenzie private di sicurezza possiedono uffici centrali in città come Londra e Washington, ma in realtà, sono registrate in paradisi fiscali come le Bahamas o le Cayman, rifuggendo da qualsiasi controllo finanziario, anche pubblico. La natura virtuale della struttura prevede, inoltre, la possibilità di una breve ma proficua vita dell’impresa, che può rapidamente sciogliersi e ricomparire in base ai propri bisogni.
Questo comporta, per le imprese militari private, anche la possibilità di evitare qualsiasi stretta legislativa nel Paese in cui hanno sede, semplicemente trasformandosi in altre entità aziendali al di fuori della Nazione interessata, e restando così al di fuori di ogni normativa nazionale e sovranazionale. Ma il problema più grande, secondo molti, è che la privatizzazione dell’apparato militare e l’uso di imprese militari private come strumento di politica estera, non comporta solo il raggiungimento di una maggiore competitività nel mercato, ma un vero e proprio outsourcing degli affari di Stato verso una società privata, che agisce al di fuori dei controlli pubblici
Inoltre, sebbene la discussione internazionale riguardo l’uso delle PMSC sembra essere trattata come una questione a sé stante dai diritti umani, le realtà provenienti dal campo illustrano chiaramente le minacce e le conseguenze poste dalle attività delle PMSC riguardo il rispetto dei diritti fondamentali. Nonostante questa realtà, azioni giudiziarie contro le PMSC e il loro personale sono stati rari a causa dell’esistenza di leggi di immunità applicabili alle imprese operanti nello Stato ospitante (come in Iraq), o per l’assenza negli Stati contraenti di una legislazione in merito alle attività delle PMSC all’estero (come in Afghanistan). Ciò ha portato ad affermazioni di mancanza di responsabilità degli imprenditori privati, generando un forte dibattito sul modo in cui le loro attività dovrebbero essere controllate e regolate.
Ad intrecciarsi a questo dibattito, l’uso massiccio di imprenditori privati nella sicurezza personale e nelle operazioni militari, e le relative violazioni dei diritti umani, ha generato un ulteriore confronto sul tipo di funzioni che dovrebbero o non dovrebbero essere eseguite dalle PMSC. Il contraente militare privato non è una pratica recente, tuttavia, nelle sue manifestazioni precedenti, solo le attività che non dovevano necessariamente essere eseguite da personale militare, come la preparazione dei pasti o il trasporto, divennero oggetto di outsourcing, mentre le competenze di base venivano riservate esclusivamente alle forze armate nazionali ed agli agenti ufficiali.
Al contrario, nello stato di espansione attuale, gli Stati hanno esternalizzato alcune funzioni fondamentali che tradizionalmente venivano eseguite da parte dell’Esercito, della Polizia o da qualsiasi altra autorità che gestiva attività in cui vi era implicato l’uso della forza. In tempo di conflitto armato questo confonde la questione della partecipazione diretta alle ostilità, in quanto la loro presenza tra i civili offusca la linea di demarcazione tra combattenti e non combattenti, uno dei concetti di base del diritto internazionale umanitario (DIU).
La questione fondamentale che è sorta da questa realtà è se i servizi effettuati tramite le PMSC siano intrinsecamente ‘funzioni statali’ e se, pertanto, devono essere effettuate esclusivamente da funzionari pubblici e, in particolare, quali delle attività sono o non sono di questa natura. La proposta di progetto di Convenzione dell’UNWG si è focalizzata proprio sulla messa al bando dell’esternalizzazione di questo tipo di funzioni, affermando che «intrinsecamente le funzioni dello Stato sono le attività in linea con il principio del monopolio dello Stato e dell’uso legittimo della forza, il quale non possono essere affidate o delegate in nessun caso alle PMSC».
Oggi, dunque, l’industria PMSC comprende centinaia di imprese che operano in più di 50 Paesi in tutto il mondo, dove lavorano per i Governi, le istituzioni internazionali, e le corporations, e comprendono una grande varietà di strutture giuridiche: società private, società quotate in borsa, e controllate di entità molto maggiori. Queste aziende forniscono ormai una intera gamma di servizi di guerra e sicurezza e, impiegando campagne milionarie nelle pubbliche relazioni, stanno cercando di diventare sempre più una parte rispettabile del settore militare. Alla mancanza di regolamentazione internazionale si aggiunge oggi la crisi economica degli Stati, che rafforza la posizione di questa temibile, seppur ormai indispensabile, industria ombra.
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