Al-Baghdadi, il portabandiera dell’ideologia jihadista tradizionalmente afferente ad al-Qaeda, appare per il momento il leader trionfante di qualcosa di molto diverso da un “gruppo di al-Qaeda”. E molto più pericoloso. (di Nino Orto) “Io sono il wali (leader) che vi presiede e anche se non sono migliore di voi aiutatemi se vedete che ho ragione”. E’ così che Abu Bakr al-Baghdadi, capo del gruppo jihadista dell’ISIS, si è presentato lo scorso 4 luglio ai propri seguaci dal pulpito della moschea Noureddin Zangi di Mosul, in Iraq, durante la preghiera del primo Venerdì di Ramadan. Vestito di un lungo turbante nero e con in testa il tipico copricapo dei capi religiosi ha infatti stupito il mondo dichiarando la nascita del nuovo Califfato iracheno sull’asse Raqqa-Mosul, proclamandosi Califfo sotto il nome di Ibrahim, ed invitando i musulmani di tutto il mondo ad unirsi al consolidamento del progetto islamico.
In realtà, la scelta temporale della istituzione del Califfato in Iraq non è casuale, e si inserisce in un progetto di più ampio respiro che vede il gruppo di al-Baghdadi porsi come nuovo “campione” del jihadismo mondiale ed un “baluardo” nella difesa della comunità sunnita irachena (e a livello simbolico di tutti i musulmani) rispetto agli oppressori sciiti e safavidi (iraniani) nella regione. Questo ambizioso progetto è tuttavia entrato fin da subito in rotta di collisione con la leadership storica di al-Qeda e la maggior parte dei gruppi jihadisti, soprattutto in Siria.
I primi screzi tra al-Baghdadi e l’establishment jihadista cominciano già nella prima metà del 2013, quando l’ISIS, entrato in sordina nella guerra civile siriana, riusciva in poco tempo a diventare uno dei gruppi più potenti nel nord della Siria costituendo un proto-stato islamico a Raqqa, svincolandosi da qualsiasi comunanza militare con gli altri gruppi qaedisti attivi contro-Asad, ed arrivando perfino a combattere gli stessi membri dell’organizzazione gemella di Jabhat al-Nusra (JN). Il colpo di scena avviene però ad aprile, quando al-Baghdadi, forte della potenza militare del proprio gruppo e dello straordinario appeal che continuava ad emanare tra le masse di simpatizzanti in tutto il mondo, dichiarava JN ed il suo leader Abu Mohammad al-Jawlani una semplice “estensione” dell’ISIS, che sarebbe dovuta essere sciolta e confluire in quest’ultimo gruppo.
Dichiarazione che comportò una decisa rottura all’interno dello schieramento jihadista in Siria con moltissimi elementi di JN, ed intere brigate di jihadisti stranieri, che dichiaravano rapidamente la loro fedeltà a ISIS. Dopo mesi di aspri combattimenti tra le due milizie Ayman al-Zawairi, che fino ad allora era stato il referente dello Stato Islamico in Iraq (ISI), gruppo da cui proviene la maggioranza dell’attuale leadership dell’ISIS, decise di entrare nella mischia con un comunicato teso a redimere la disputa.
Apparso inizialmente nel forum Shumukh al-Islam e poi ripostato su Youtube dichiarava: “Lo sheikh Abu Bakr al-Baghdadi al-Husayni ha commesso un errore dichiarando la nascita del gruppo senza il nostro permesso e senza consultarci. L’ISIS dovrà essere sciolto e il lavoro deve essere continuato sotto il nome di Stato islamico dell’Iraq, mentre Jabhat al-Nusra sarà un ramo indipendente di al-Qeda in Siria”.
Nonostante le intenzioni di Zawahiri fossero pacificatorie il leader qaedista aveva tuttavia sopravvalutato il peso della sua autorità. Dal punto di vista dello Stato islamico, era lui, e non al-Baghdadi, che aveva oltrepassato i limiti. Secondo quanto riportato dal sito jihadica.com il 15 giugno era quindi il capo dell’ISIS che rispondeva a Zawahiri con una dichiarazione audio di sette minuti: “Lo Stato Islamico dell’Iraq e Sham non deve ritirarsi da qualsiasi punto della terra in cui si è ampliato, e non deve diminuire dopo essersi ingrandito […] l’ordine di Zawahiri è in contrasto con il comando di Dio ed è inaccettabile a causa di numerose obiezioni giuridiche e metodologiche, tra cui l’accettazione dei confini nazionali”.
A dispetto degli avvertimenti al-Baghdadi continuava per la propria strada, disobbedendo agli ordini e continuando con la propria agenda politica in Siria a discapito degli altri protagonisti nel fronte anti-Asad, specialmente quelli di matrice islamista come Jabhat al-Nusra ed il Fronte Islamico. La principale conseguenza fu la polarizzazione tra i gruppi jihadisti tra chi era favorevole a JN e alla collaborazione con tutti i gruppi ribelli e chi era schierato con l’ISIS ed il suo progetto escludente della creazione di un proto-califfato. Dai sanguinosi scontri di gennaio 2014 tra ISIS e JN per il controllo di Raqqa, fino ad arrivare all’assassinio a Maskana di Abu Rayyan, capo del gruppo islamico Ahrar al-Sham per mano dei sicari di al-Baghdadi, la divisione nel fronte islamico cresceva.
A febbraio 2014, il Comando centrale di al-Qeda, dichiarava l’avvenuta rottura: “al-Qeda non ha legami con il gruppo chiamato Stato Islamico dell’Iraq e Sham. Non siamo stati informati sulla sua creazione, né l’abbiamo consigliata. Non siamo soddisfatti da essa, e piuttosto abbiamo ordinato loro di fermarsi. Quindi, per questo motivo, tale gruppo non è un ramo di al-qeda e non abbiamo relazioni organizzative con esso. Al-Qeda non è responsabile delle sue azioni e comportamenti. I rami di al-qeda sono quelli che sono stati annunciati dal Comando centrale, questi sono quelli che riconosciamo” (http://justpaste.it/ea9k)
Il progetto di al-Baghdadi intanto prosegue e diventa esplicito quando, a partire dalla fine del 2013, l’ISIS concentra la propria attenzione sulle operazioni in Iraq rispetto alla lotta contro Damasco. Conquistando la città di Falluja, aumentando gli attacchi contro l’esercito iracheno in tutte le regioni a maggioranza sunnita e sfruttando le divisioni nel fronte sciita di Maliki, la milizia jihadista riusciva nel giro di qualche mese a prendere Mosul e controllare la maggior parte della regione di al-Anbar e Salaheddin, permettendo così la creazione del Califfato a dispetto di qualsiasi aspettativa tra gli stessi ranghi jihadisti.
A questo punto, anche le reazioni all’interno della comunità islamica mondiale non si sono fatte attendere e moltissimi esponenti religiosi musulmani da subito si sono fermamente schierati contro il neo-califfo iracheno. Il principale studioso sunnita, l’egiziano Yusef al-Qaradawi, ha immediatamente dichiarato che la proclamazione del Califfato da parte dell’IS era in palese violazione della Sharia e che avrebbe avuto “conseguenze pericolose” per i sunniti iracheni ed il conflitto in Siria. Altre importanti personalità musulmane si sono subito affrettate a dissociarsi dalle dichiarazioni dello Stato islamico. Al-Azhar, la più eminente autorità dell’Islam sunnita, secondo quanto detto dallo sceicco Abbas Shuman all’ AFP, dichiarava qualche settimana fa come “tutti quelli che oggi parlano di uno Stato islamico in Iraq sono terroristi” aumentando ulteriormente la polarizzazione delle posizioni all’interno dei circoli religiosi sunniti.
Anche la vecchia guardia dei teorici del jihadismo internazionale come Abu Muhammad al-Maqdisi, Abu Qatada al-Filastini, e Hani al-Siba’i, si sono schierati unanimemente contro lo Stato islamico e le sue pretese califfali, denunciando l’organizzazione come irrimediabilmente estremista e al di fuori di ogni contatto con la realtà. Il loro esplicito allinearsi contro ha però lasciato una giovane generazione di jihadisti simpatizzati per il gruppo di al-Baghdadi di fronte ad una scelta netta che indebolisce notevolmente l’intero movimento. L’improvvisa ascesa dell’ISIS e la costituzione di un Califfato in Iraq segna infatti un punto di rottura storico. Contrariamente alla percezione popolare, questo risultato non è in alcun modo una vittoria per al-Qeda ma piuttosto una sconfitta che ridimensiona il peso del gruppo in tutto il Mashreq. Al-Baghdadi, il portabandiera dell’ideologia jihadista tradizionalmente afferente ad al-Qaeda, appare per il momento il leader trionfante di qualcosa di molto diverso da un “gruppo di al-Qaeda”. E molto più pericoloso.