“Strettamente interconnessi tra loro, gli esiti del conflitto siriano influenzano pesantemente gli equilibri del teatro iracheno. Il rischio è quello di una balcanizzazione dell’intera area” (di Nino Orto) La guerra in Siria passa ad una nuova fase, forse cruciale per i destini del conflitto. Nelle ultime settimane, infatti, in seguito alla contro-offensiva dell’esercito siriano (appoggiato dagli alleati internazionali di Damasco) nel sud e nel nord del Paese, i ribelli anti-Assad rischiano ora la disfatta militare, nonché il completo annichilimento se dovesse materializzarsi l’assedio della zona orientale di Aleppo, ultima roccaforte dell’opposizione siriana. “Si tratta di un punto di svolta nella guerra. Fin dal 2012 l’opposizione ha fatto di Aleppo e della provincia di Idlib il quartier generale di una nuova Siria libera. Tutto questo ora è finito” ha dichiarato Fabrice Balanche, un esperto di questioni mediorientali e visiting fellow al Washington Institute.
Di certo c’è che le forze di opposizione siriane, insieme a circa 350 mila civili all’interno di Aleppo, si trovano ora di fronte alla prospettiva di un brutale assedio governativo. Una tattica che è stata impiegata con effetti devastanti contro altre ex-roccaforti ribelli, come Homs. “L’assedio di Aleppo mostra chiaramente come la combinazione di potenza aerea russa e consulenti militari sia stata in grado di compensare le capacità belliche relativamente basse del governo siriano e la carenza di soldati” ha dichiarato Faysal Itani, senior fellow presso il Rafik Hariri Center. “Una buona parte di ribelli e civili morirà a causa dei bombardamenti, la fame e in generale di tutte le privazioni che l’assedio comporta. I combattenti all’interno saranno uccisi o costretti alla resa” ha poi aggiunto lo studioso, prevedendo nuove ondate di profughi.
Gli attivisti riferiscono di come l’opposizione si senta “tradita”, soprattutto a causa del congelamento delle forniture di armi da parte dei sostenitori internazionali, addirittura antecedente ai colloqui di pace di Ginevra, e nonostante nel frattempo si intensificasse l’azione militare della Russia.”Quello che causa grande frustrazione tra i ribelli è il fatto che i paesi che pretendono di essere loro amici sono felici di utilizzare parole vuote” ha dichiarato l’attivista Maamoun al-Khatib, capo della agenzia stampa Shabha ad Aleppo. “Nel frattempo, la Russia e l’Iran stanno occupando e violando il territorio siriano“. In realtà, secondo molti esperti, i ribelli hanno ormai poche opzioni. L’avanzata generalizzata del governo siriano e alleati nel Paese ha causato una pressione micidiale in tutti i quadranti dove sono presenti i ribelli ha provocato enormi perdite tra i ranghi delle milizie che difficilmente potranno essere rimpiazzate. Situazione aggravata, inoltre, dalla totale impotenza dell’opposizione di fronte alla forza aerea nemica.
Nel frattempo, il governo di Damasco sostenuto dalla “cintura sciita” continua a consolidare i suoi presidi nelle zone maggiormente strategiche e ricche del Paese. A tal proposito, secondo Emile Hokayem, senior fellow presso l’International Institute of Strategic Study “quello che i russi e Assad stanno facendo è estendere e consolidare il controllo della Siria occidentale e lasciare che siano gli USA a trattare con il mostro estremista in Siria orientale, dove lo Stato Islamico è più potente. E sta funzionando”. Oltretutto, le gravi perdite subite dai ribelli e le sconfitte militari sono avvenute in coincidenza con il fallimento dei colloqui di pace a Ginevra. Situazione che ha incoraggiato il governo di Damasco a resistere a qualsiasi concessione, rendendo impossibile all’opposizione di negoziare.
Intanto, dall’altra parte dell’Eufrate, in Iraq, la situazione è altrettanto instabile e le sorti del conflitto alquanto incerte. Dopo l’iniziale sbandamento dell’esercito iracheno di fronte all’avanzata dei jihadisti, con la conseguente conquista delle maggiori città dell’Anbar iracheno, il governo di Baghdad prova timidamente a riprendere i territori perduti, ma tra mille difficoltà. Negli ultimi due anni la leadership dello Stato Islamico è stata in grado di prendere il controllo delle roccaforti sunnite perché la popolazione era stata in gran parte alienata dalle politiche e le pratiche del governo sciita dominato dall’ex-premier Nouri al-Maliki, poi defenestrato nel mese di agosto del 2014.
Da allora, ben poco è stato fatto per favorire la riconciliazione nazionale e fare dei sunniti, una potente minoranza sotto il regime di Saddam Hussein, un partner a pieno titolo in un progetto nazionale. Le nuove leggi tese a potenziare il ruolo dei sunniti trasferendo le responsabilità finanziarie e di sicurezza alle province non sono mai state approvate. Né hanno trovato applicazione tutte le misure tese a cessare la persecuzione degli ex membri del partito Baath di Saddam Hussein, o gli arresti casuali, le detenzioni, i soprusi verso la comunità da parte dell’autorità centrale. Gli Stati Uniti, che hanno una nutrita presenza di militari e consiglieri tra le forze governative irachene, sembrano essere consapevoli del fatto che la soluzione militare non sia da sola sufficiente a sconfiggere lo Stato Islamico ma, la sensazione è che gli americani stiano spingendo per una vittoria importante e simbolica, come la riconquista di Mosul ed eventualmente di Raqqa in Siria, soprattutto come un elemento diplomatico da spendere prima della fine del mandato del presidente Barack Obama. Tuttavia, la situazione in Iraq non è semplice da decifrare né tantomeno da controllare.
La ri-conquista di Ramadi, se da una parte ha dato una nuova spinta alla retorica popolare dell’unità nazionale contro i jihadisti promossa dal Primo ministro Haider al-Abadi, dall’altra ha messo a nudo lo scarso sostegno del Premier da parte del suo stesso partito Daawa, alimentando la percezione di debolezza del Primo ministro all’interno dello spettro politico iracheno. Oltretutto, la conquista di Ramadi dai jihadisti si è dimostrata una vittoria di Pirro, con la distruzione totale della città e lo spostamento forzato di tutta la popolazione. Situazione che ha evidenziato tutti i limiti dell’attuale strategia contro lo Stato Islamico in Iraq. L’Iraq dopo l’ascesa dell’IS si ritrova diviso “virtualmente” in tre macro-regioni che rispecchiano i tre principali gruppi etnico-confessionali del Paese. Questa divisione, potrebbe ben presto diventare ufficiale e sancire la fine dell’Iraq come stato nazionale a dispetto di tutti i proclami internazionali.