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Siria: il Jihadismo potrebbe riemergere?

by Nino Orto
8 Dicembre 2024
in Osservatorio Jihad
Reading Time: 5 mins read
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Siria: il Jihadismo potrebbe riemergere?

Osservatorio Mashrek sottolinea come i successi militari di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), inclusa la recente conquista di Damasco, nascondano una realtà inquietante: le reti estremiste spesso prosperano in tempi di sconvolgimenti politici e il collasso degli stati

Con le forze ribelli guidate da HTS che conquistano Damasco e proclamano la fine del regime cinquantennale di Bashar al-Assad, il futuro della Siria è sospeso in un equilibrio precario. Questo cambiamento drammatico rappresenta una svolta storica nella lunga e sanguinosa guerra civile siriana, ma il caos che ne consegue solleva domande urgenti sul rischio di una nuova ondata di jihadismo nella regione.

Il Vuoto di Potere e il Rischio dell’Estremismo Religioso

La caduta di Damasco rappresenta una vittoria simbolica e strategica per HTS, il cui leader, Abu Mohammed al-Julani, ha cercato di riposizionare il gruppo come una forza nazionalista focalizzata sulla destituzione di Assad. Tuttavia, nonostante questi sforzi, HTS rimane designato a livello internazionale come un’organizzazione terroristica con forti legami storici con al-Qaeda. Questo retaggio, combinato con le politiche repressive nelle aree controllate dall’opposizione, alimenta i timori che le ideologie jihadiste possano nuovamente prosperare a seguito del vuoto di potere creato dalla caduta di Assad.

Osservatorio Mashrek sottolinea come i successi militari di HTS, inclusa la conquista di Damasco, nascondano una realtà inquietante: le reti estremiste tendono a prosperare in tempi di sconvolgimenti politici e il collasso degli stati. Con vaste aree della Siria ora sotto il controllo di fazioni con connessioni (ed un passato legato) ad ideologie jihadiste, il rischio che movimenti estremisti transnazionali si riorganizzino è allarmante.

La Situazione nel Campo di al-Hol: Un Terreno Fertile per la Radicalizzazione

A peggiorare questi timori è il disastro umanitario in corso nel campo rifugiati di al-Hol, nel nord-est della Siria. Con circa 54.000 residenti, tra cui migliaia di bambini, il campo è diventato un centro per il reclutamento estremista. Gruppi come i “Cuccioli del Califfato” mirano apertamente a indottrinare i bambini con ideologie jihadiste. Le condizioni di vita al limite—caratterizzate dalla mancanza di cibo, istruzione e sicurezza—creano infatti terreno fertile per l’estremismo.

Le Forze Democratiche Siriane (SDF), guidate dai curdi, lavorano instancabilmente per gestire il campo e prevenire che cellule dormienti dell’ISIS ne prendano il controllo, ma affrontano sfide significative. I recenti sviluppi sul campo, aggravati dalla necessità di difendere i territori curdi dagli attacchi dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), sostenuto dalla Turchia, ha ulteriormente ridotto la loro capacità di affrontare questa crescente minaccia.

La preoccupazione più pressante riguarda il destino dei bambini siriani, in particolare quelli nel campo di al-Hol. Molti sono cresciuti conoscendo solo guerra e violenza, senza accesso ad istruzione o opportunità oltre alle narrazioni estremiste che li circondano. Ad aggiungersi a questo bacino sono i circa 60 bambini nati ogni mese nel campo che accrescono costantemente questa popolazione vulnerabile, creando una generazione a rischio.

Territori Curdi Sotto Minaccia

La cattura di Aleppo e delle aree circostanti da parte di HTS e dell’SNA sostenuto dalla Turchia ha intensificato la crisi umanitaria nella regione, colpendo duramente la popolazione curda della Siria. Decine di migliaia di curdi, sfollati con la forza da aree come Tel Rifaat e i villaggi adiacenti, fuggono in condizioni di gelo, dirigendosi verso i territori controllati dalle SDF a est del fiume Eufrate. La violenza e lo sfollamento in corso minacciano non solo le comunità curde ma anche la fragile stabilità della Siria settentrionale.

L’SNA, fortemente influenzato dalla Turchia, è stato più volte accusato di prendere sistematicamente di mira le popolazioni curde. Queste accuse includono pulizie etniche, sfollamenti forzati e tentativi di attuare cambiamenti demografici insediando arabi e altri gruppi nelle aree tradizionalmente curde. Questa politica ha aggravato l’instabilità della regione, provocando rancori tra le comunità curde e alimentando tensioni etniche che potrebbero degenerare in conflitti più ampi.

La crescente pressione sulle forze curde, in particolare le SDF, ha implicazioni strategiche oltre lo sfollamento immediato. Le SDF, partner chiave nella lotta contro l’ISIS, hanno mantenuto il controllo su prigioni e campi che ospitano migliaia di militanti dell’ISIS e le loro famiglie. Tuttavia, mentre le SDF deviano le loro risorse limitate per difendere i territori curdi dall’avanzata di HTS, dell’SNA e delle forze sostenute dalla Turchia, la loro capacità di gestire e proteggere queste strutture si è significativamente indebolita. Questo crea un’apertura pericolosa per gruppi jihadisti come l’ISIS, che potrebbero sfruttare il caos per riorganizzarsi.

Già attive nella regione, le cellule dormienti dell’ISIS potrebbero approfittare di questo momento di distrazione per orchestrare fughe da istituti penitenziari, attacchi a sorpresa o campagne militari lampo, come già accaduto in Iraq. Campi come quello di al-Hol, dove migliaia di individui affiliati all’ISIS sono detenuti, sono da tempo focolai di radicalizzazione e reclutamento. Una riduzione della supervisione delle SDF su questi siti potrebbe portare al rilascio di combattenti esperti e a un afflusso di personale per operazioni jihadiste, potenzialmente catalizzando una rinascita più ampia dell’ISIS in Siria e Iraq.

Una Scommessa Rischiosa?

Una Siria guidata da sunniti potrebbe rappresentare un contrappeso significativo alle milizie dominate dagli sciiti e allineate con l’Iran nella regione, modificando le dinamiche settarie e geopolitiche che attualmente favoriscono l’influenza iraniana. Sotto una leadership sunnita, la Siria potrebbe cercare di costruire alleanze con nazioni a maggioranza sunnita, come l’Arabia Saudita, la Turchia e altri stati del Golfo, che si oppongono alle ambizioni regionali dell’Iran.

Questo riallineamento potrebbe indebolire il supporto logistico e ideologico alle milizie sostenute dall’Iran operanti in Siria, comprese le formazioni irachene e libanesi che si sono radicate in territori strategici. Un governo sunnita a Damasco potrebbe anche limitare la capacità dell’Iran di utilizzare la Siria come ponte terrestre per rifornire Hezbollah e altri proxy, interrompendo la più ampia strategia di proiezione nel Levante di Teheran. Inoltre, una forte leadership sunnita potrebbe dare priorità alla ricostruzione delle comunità sunnite devastate dalla guerra, riducendo lo spazio per l’espansione ideologica sciita e diminuendo l’attrattiva delle milizie settarie sostenute dall’Iran in queste regioni.

Tuttavia, se la conquista di Damasco da parte di HTS segna un nuovo capitolo nel conflitto siriano, sottolinea anche l’equilibrio precario tra speranza e pericolo. Senza sforzi internazionali concertati per stabilizzare la regione, sostenere le popolazioni sfollate e contrastare le ideologie estremiste, la Siria rischia di diventare un terreno fertile per la prossima ondata di jihadismo. Mentre il mondo osserva le celebrazioni a Damasco, i semi di un futuro potenzialmente più oscuro potrebbero già essere piantati.

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Tags: evidenzajihadismoNino OrtoOsservatorio Mashreksiria
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Nino Orto è un giornalista freelance specializzato in geopolitica e conflitti del Medio Oriente, con un focus particolare su Iraq, Siria e le dinamiche delle guerre nella regione. Da oltre dieci anni, analizza e racconta dal campo le aree di crisi più complesse al mondo, tra cui il conflitto israelo-palestinese, la guerra in Ucraina, il fenomeno delle migrazioni verso l’Europa, il jihadismo internazionale e le tensioni interreligiose tra sunniti e sciiti. Le sue analisi sono state pubblicate su testate internazionali come The New Arab e Fanack Chronicle, nonché su media italiani come Il Manifesto, The Post Internazionale e Equilibri. Nel 2014, ha fondato Osservatorio Mashrek, una piattaforma di approfondimento dedicata alle trasformazioni politiche e sociali della regione mediorientale. E’ autore del libro “Business, Piombo, Dollari: La privatizzazione della guerra irachena”, un’analisi dettagliata sul ruolo delle compagnie militari private nel conflitto iracheno e sulle implicazioni economiche e politiche della esternalizzazione della gestione della guerra ai privati.

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