“La Libia prosegue la sua caduta libera verso l’anarchia e il collasso dello Stato a causa del conflitto sempre più virulento tra il Governo del Primo Ministro Abdullah Thinni e l’ “anti-governo” di Omar al-Hassi” (di Valerio Buemi) La Libia prosegue la sua caduta libera verso l’anarchia e il collasso dello Stato, a causa del conflitto sempre più virulento tra il Governo riconosciuto internazionalmente, guidato dal Primo Ministro Abdullah Thinni, espresso dalla Camera dei Rappresentanti eletta legittimamente il 25 giugno del 2014, e l’ “anti-governo” di Omar al-Hassi, costituitosi in modo autoreferenziale a Tripoli dopo che nell’estate del 2014 i miliziani dell’area politico -militare denominata successivamente “Alba della Libia” hanno sottratto alle milizie di Zintan il controllo dell’aeroporto di Tripoli ( ora completamente distrutto).
La missione delle Nazioni Unite in Libia, guidata dal diplomatico spagnolo Bernardino Leòn, ha tentato a più riprese di far sedere le parti in conflitto al tavolo dei negoziati, prima a Ghadames, poi a Ginevra, dove sotto l’egida dell’ONU si sta provando in questi giorni a riprendere il dialogo tra le parti, con gli obiettivi primari di fermare i combattimenti in corso e riuscire a formare un Governo di unità nazionale, che possa guidare il Paese verso una condizione di relativa normalità.
La guerra civile che infuria da maggio del 2014, preceduta da mesi segnati dai continui omicidi mirati condotti dalla milizie fondamentaliste contro ufficiali e graduati dell’esercito libico, giornalisti e attivisti per i diritti umani, ha messo in ginocchio la Libia dal punto di vista economico, sociale e culturale: la capacità di produrre ed esportare petrolio è scesa a circa 240.000 barili al giorno (ancora nel 2013 la produzione si attestava a più di 1.400.000 barili al giorno); i servizi pubblici sono ridotti al lumicino o non sono più erogati, in particolare in ambito sanitario, con gli ospedali incapaci di gestire efficacemente il gran numero di feriti causati dalle battaglie, attentati e violenze di strada; gli estremisti islamici, in particolare a Tripoli e Derna – dove è stato proclamato nella primavera del 2014 un “emirato islamico” – hanno compiuto azioni aliene alla storia e alla cultura libica, come la separazione forzata tra uomini e donne nelle scuole, attuata a Derna, oppure la distruzione di statue e di antiche tombe di santi musulmani perpetrata a Tripoli e in altre località.
A Bengasi, da mesi l’Esercito libico, che a partire da maggio dello scorso anno ha trovato una rinnovata unità con l’ “Operazione Dignità” lanciata dal generale Khalifah Haftar contro le organizzazioni estremiste presenti in Libia, è impegnato in combattimenti sanguinosi finalizzati a liberare la città dal gruppo terrorista “Ansar al-Shari’ah” (ossia “Gli ausiliari della Legge sacra“) e da altre formazioni verosimilmente collegate all’ISIS.
Altra zona di conflitto importante è quella del Jebel Nafusah, dove le milizie di Zintan – la città in cui è detenuto in attesa di processo il delfino del deposto dittatore Mu’ammar Gheddafi, Sayf al-Islam -, ormai pienamente integrate nei ranghi dell’Esercito libico, stanno ingaggiando da diversi mesi una strenua lotta per il controllo della regione contro le milizie delle città di Misratah e Gharyan, capisaldi del fronte di “Alba della Libia”.
Agli scenari di guerra anzidetti, occorre aggiungere quelli dell’area della cosiddetta “Mezzaluna petrolifera”, – ossia la regione costiera centrale della Libia, bagnata dal Golfo della Sirte, e il relativo entroterra – dove le milizie di Misurata hanno attaccato i campi di estrazione del petrolio e i terminali per l’esportazione, impegnandosi in pesanti scontri con i militari destinati alla sicurezza delle installazioni petrolifere, nonché le città di Derna e Sirte: nella prima l’ISIS ha una presenza stabile e forte, che potrà essere minata solo da un gravoso impegno in termini di uomini e mezzi da parte dell’Esercito libico, mentre a Sirte ci sono preoccupanti segnali di un tentativo dell’ISIS di prendere piede nella città.
Altro contesto di profonde insicurezze e fonte di grave inquietudine per i Paesi confinanti con la Libia è il Sud, definito recentemente dal Presidente del Mali Keita come un “vespaio“, a causa della presenza di gruppi terroristici che hanno trovato facilmente ricetto in quell’area e di un fiorente mercato nero di armi destinate a destabilizzare il quadro politico dei Paesi del Sahel. Per tale ragione i leader politici di questi stati hanno chiesto l’intervento dell’ONU per monitorare la questione e trovare una soluzione efficace al problema.
La comunità internazionale, pertanto, si trova al cospetto del catastrofico fallimento della scelta di non aver sostenuto adeguatamente la Libia nel suo processo di transizione verso uno stato di diritto democratico, di aver ignorato l’enorme numero di armi uscite dagli arsenali accumulati da Gheddafi durante il suo regime e rimaste nelle mani dei “rivoluzionari“, di aver tollerato o addirittura di aver fatto affari con loschi personaggi che hanno avuto funzioni chiave nei governi di transizione libici, che hanno sottratto enormi somme di denaro al popolo libico per poi fuggire in Europa, grazie alla doppia cittadinanza.
Il risultato di questa colpevole dabbenaggine è l’atroce caos della Libia attuale, nella quale nei primi 16 giorni del 2015 sono decedute per morte violenta 113 persone, dove le violenze islamiste seminano distruzione e minacciano la stabilità dell’intera regione nordafricana e sahariana, dove la tragedia dell’intelligenza rischia di far ritenere un nuovo intervento militare della NATO in Libia l’unico modo per riportare la pace.