La notte del 6 giugno 2014 decine di pickup pieni di jihadisti dello Stato Islamico avanzavano da ovest, attraverso il deserto che si trova a cavallo del confine iracheno con la Siria, verso Mosul.
(di Nino Orto)Un errore tattico in Iraq, una ritirata frettolosa da una città di un milione e mezzo di abitanti, la vita di milioni di persone in Medio Oriente che viene stravolta. La nascita dello Stato Islamico, che ha messo a ferro e fuoco per anni ampie porzioni di Iraq e Siria e terrorizzato il mondo con video atroci di esecuzioni, inizia con la conquista da parte dei jihadisti di Mosul, la piu’ grande città del nord Iraq.
L’offensiva dei jihadisti
Il Tenente Generale Mahdi Gharawi sapeva che l’attacco era imminente. Alla fine di maggio, le forze di sicurezza irachene avevano arrestato sette membri del gruppo militante dello Stato islamico a Mosul, e appreso che il gruppo stava organizzando un’offensiva sulla città ai primi di giugno. Gharawi, il comandante operativo della provincia di Ninive, di cui Mosul è la capitale, aveva quindi chiesto i comandanti più fidati del primo ministro Nuri al-Maliki come rinforzi.
Con un esercito iracheno “overstretched“, gli ufficiali superiori si schernirono della richiesta. A Baghdad si rispose che le forze speciali irachene erano a Mosul, ed erano in grado di gestire qualsiasi scenario. Il 4 giugno, la polizia federale di Mosul sotto il comando di Gharawi, accerchiava un capo militare di IS, che si faceva esplodere piuttosto che arrendersi. Gharawi sperava che la morte poteva scongiurare un attacco. Ma aveva torto. Alle 02:30 di notte del 6 giugno, Gharawi ed i suoi uomini tornano nel loro quartiere generale dopo un’ispezione dei check point nella città. In quel momento, convogli di pickup stavano avanzando da ovest, attraverso il deserto che si trova a cavallo del confine iracheno con la Siria . Ogni veicolo contava quattro combattenti jihadisti.
Dalle 03:30, i militanti stavano già combattendo dentro Mosul. Entro tre giorni, l’esercito iracheno avrebbe abbandonato la seconda città più grande del paese ai suoi aggressori. Tale perdita ha poi innescato una serie di eventi che continuano a rimodellare l’Iraq. Successivamente alla conquista della città l’IS scatenò una offensiva di due giorni che causò il tracollo di quattro divisioni irachene e la cattura o morte di migliaia di soldati. Eventi che hanno contribuito anche alla destituzione di Maliki. E che hanno spinto le potenze occidentali e le nazioni arabe del Golfo a sferrare attacchi aerei sui militanti islamici in Iraq e la Siria .
Ma come Mosul sia stata persa, e chi abbia dato l’ordine di abbandonare la città, fino ad ora, è poco chiaro. Non c’è stata infatti nessuna versione ufficiale: solo storie di soldati che disertavano in massa e le proteste da parte delle truppe di fanteria che eseguivano l’ordine di ritirarsi.
Nel mese di giugno 2014 Maliki ha inizialmente accusato le “potenze regionali” ed i comandanti e politici rivali di aver organizzato la caduta di Mosul. Tuttavia, il governo iracheno ha infine addossato tutta la colpa su Gharawi, affermando recentemente come non sia arrivato nessun ordine di ritirare le truppe da parte di Baghdad. Alla fine di agosto 2014, è stato infatti destituito dal Ministero della Difesa ed è ora in attesa dei risultati di un panel di indagine e di un processo militare. Se giudicato colpevole, potrebbe essere condannato a morte.
Un’indagine della Reuters mostra però come sia i funzionari militari di alto livello, sia Maliki, condividano almeno in parte la colpa. Molti in Iraq, infatti, sono concordi nell’affermare che la carenza di truppe e le lotte intestine tra i leader politici iracheni abbiano favorito lo Stato Islamico. Addiritttura, si dice che Maliki abbia declinato le ripetute offerte di aiuto da parte della forze peshmerga.
Il ruolo di Gharawi nella debacle è questione di dibattito. Secondo il governatore provinciale e molti cittadini, sarebbe stato il governo iracheno ad alienare la maggioranza sunnita di Mosul e contribuito a dare origine a cellule dormienti dentro la città.
Da parte sua, Gharawi dice di non aver dato l’ordine finale per abbandonare la città. Altri coinvolti nella battaglia approvano tale affermazione, e dicono che Gharawi ha resistito fino a quando la città è stata invasa. Fu solo allora che fuggì.
Gharawi dice che tre persone avrebbero dato l’ordine finale: Aboud Qanbar, all’epoca vice capodel personale del ministero della Difesa; Ali Ghaidan, allora comandante delle forze di terra; e Maliki stesso, che ha personalmente diretto i suoi ufficiali più alti da Baghdad. Il segreto su chi abbia deciso di abbandonare Mosul, Gharawi dice, si trova tra questi tre uomini. Gharawi dice anche che la decisione di Ghaidan e Qanbar di lasciare la sponda occidentale di Mosul ha scatenato diserzioni di massa quando i soldati capirono che i loro comandanti erano fuggiti.
Nessuno dei tre uomini ha inoltre commentato pubblicamente le loro decisioni riguardo Mosul. Maliki ha rifiutato le richieste della Reuters per un’intervista riguardo questo tema. Qanbar non ha risposto, mentre Ghaidan non poteva essere raggiunto. Il Tenente generale Qassim Atta, portavoce militare con stretti legami con Maliki, ha dichiarato invece alla Reuters che Gharawi “sopra tutti gli altri … ha fallito nel suo ruolo di comandante“. Il resto, ha detto, “sarà rivelato dalla magistratura.”
Sotto molti aspetti, la storia di Gharawi è una finestra di quello che accade in Iraq. Il generale, appartenente alla comunità sciita, è stato una figura chiave dal 2003, quando gli sciiti hanno iniziato a conquistare il potere dopo che gli Stati Uniti hanno destituito Saddam Hussein e il suo partito sunnita Baath. Leader sciiti a sua volta salutarono Gharawi come un eroe, mentre i sunniti lo vedono come un assassino che ha usato la guerra in Iraq come copertura per estorcere denaro dalle aziende e persone innocenti con arresti e uccisioni.
Gharawi ha aumentato il proprio potere attraverso un esercito lacerato da divisioni settarie, corruzione e appartenenze politiche. Ed è ora intrappolato da quelle stesse forze. La decisione di punirlo e ignorare il ruolo di figura di livello superiore dimostra non solo che la ricostruzione dell’esercito sarà difficile, ma anche che il paese rischia la rottura definitiva. Come dimostrato a Mosul, l’esercito iracheno è un’istituzione fallita nel cuore di uno Stato assente.
Gharawi, nel suo racconto, è diventato un capro espiatorio, una vittima del deal-making e delle alleanze che mantengono l’élite politica e militare dell’Iraq attuale. Ghaidan e Qanbar, confidenti di vecchia data di Maliki, sono stati spediti a casa. Gharawi, che vive nella sua città natale nel sud dell’Iraq, dice che i suoi padroni ripongono le colpe di un sistema marcio su di lui. “Vogliono solo salvarsi da queste accuse“, ha detto alla Reuters durante una visita a Baghdad. “L’indagine dovrebbe includere i più alti comandanti e la leadership … Ognuno dovrebbe dire ciò che conosce, così che la gente possa sapere“.
Mosul è perduta
Quando i jihadisti avanzarono verso Mosul prima dell’alba del 6 giugno, i miliziani speravano solo di prendere un quartiere per diverse ore. Non si aspettavano che tutto l’apparato governativo nella città crollasse. Come tante formiche si insediarono a centinaia in cinque distretti, che sarebbero diventati nei giorni successivi oltre 2.000 combattenti, accolti dagli inferociti cittadini sunniti della città.
La prima linea di difesa di Mosul era la Sesta brigata della Terza divisione dell’esercito iracheno. Sulla carta, la brigata aveva 2.500 uomini. Nella realtà era più vicino ai 500. La brigata era anche a corto di armi e munizioni. Fanteria, armature e carri armati erano stati spostati al Anbar, dove più di 6.000 soldati erano stati uccisi e altri 12 mila avevano disertato. Mosul era praticamente priva di carri armati e con pochissima artiglieria. C’era anche un problema con i soldati fantasma (uomini che hanno versato ai loro ufficiali metà dei loro stipendi per evitare la prima linea). A riferirlo è Gharawi.
In città, in teoria, dovevano esserci circa 25.000 tra soldati e poliziotti. In realtà, diversi funzionari locali e agenti di sicurezza dicono che al massimo erano 10mila. Nel quartiere di Musherfa, uno dei principali punti di ingresso della città, c’erano solo 40 soldati in servizio la notte del 6 giugno.
Sempre secondo la versione di Gharawi, il militare ordinò alle sue forze di formare una linea difensiva per isolare i quartieri occidentali di Mosul assediati dal fiume Tigri. Gharawi ha anche detto di aver ricevuto una chiamata da Maliki affinchè tenesse le posizioni fino all’arrivo di Qanbar, il vice capo di gabinetto del ministero della difesa, e Ghaidan, che comandava le forze di terra irachene.
Qanbar è un membro della tribù di Maliki, mentre Ghaidan aveva a lungo assistito Maliki in operazioni di sicurezza. Ora il destino della città dipendeva Gharawi. Uno dei consiglieri di Nujaifi ha chiesto al generale perché non avesse contro-attaccato. “Non ci sono abbastanza forze” disse Gharawi.
Il pomeriggio dell’8 giugno, lo Stato islamico convergeva verso la città. Più di 100 veicoli, con almeno 400 uomini, dalla Siria si dirigevano verso Mosul. Cellule dormienti che si nascondevano nella città erano state attivate e radunate nei dintorni. Gli insorti hanno poi bombardato una stazione di polizia nel quartiere al-Uraybi e nella zona intorno al Mosul Hotel, un edificio abbandonato sulla riva occidentale del Tigri trasformato in una postazione di battaglia per 30 uomini provenienti dalla SWAT. Gharawi e la sua polizia federale martellava invece le aree controllate dallo Stato islamico con l’artiglieria.
In poche ore, però, il comando di Gharawi entrava nel caos. Fonti militari riferiscono di come Ghaidan e Qanbar destituirono un comandante di divisione che si era rifiutato di inviare uomini per difendere il Mosul hotel. Il Generale Zebari considera l’ordine un altro grave errore: “Durante una battaglia, non è possibile sostituire il comandante.” Entro il 9 giugno, il quarto battaglione del colonnello Obeidi e 40 dei suoi uomini sono stati impegnati nell’ultimo combattimento per trattenere i jihadisti nella Mosul occidentale. Il resto era scappato o si era unito ai jihadisti.
Le responsabilità
Eppure Ahmed al-Zarkani, il capo dei servizi segreti a Mosul, aveva già più volte messo in guardia il governo iracheno a Baghdad sul fatto che il gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi stesse progettando qualcosa di grosso. Già in una informativa del febbraio 2014 inoltrava una richiesta all’autorità centrale per bombardamenti mirati contro i campi d’addestramento dei militanti al di fuori della città. Appelli che tuttavia sono stati ripetutamente ignorati, così come quelli di altre figure politiche chiave.
Nella Green Zone della capitale irachena all’inizio del 2014 il “rais” Nouri al Maliki ricopriva non solo la carica di primo ministro del Paese, ma era anche responsabile di due dipartimenti chiave come quello del ministero della Difesa e degli Affari Interni, quest’ultimo responsabile della gestione dell’intelligence. La recente commissione parlamentare ha quindi affermato che la maggior parte delle responsabilità per la caduta di Mosul devono essere addebitate a Maliki e in misura minore al governatore di Mosul, Athil al-Nujaifi, che da allora è stato licenziato.
Ma perché le preziose informazioni inviate a Baghdad sono state ignorate invece di essere usate per prevenire un probabile attacco?
“La commissione d’inchiesta ha elencato sei capi d’accusa contro di me” – ha recentemente affermato Nujaifi durante un’intervista con The Independent – “ma solo due si riferiscono direttamente alla caduta di Mosul. Hanno detto che non ho informato il Primo ministro sul fatto che la città sarebbe caduta da lì a poco ma, nello stesso tempo, il capo dello staff di Maliki ha dichiarato nella sua testimonianza che ero l’unico ad aver telefonato per illustrare la situazione chiedendo più armi. Maliki rispose che non era lavoro del governatore“. Nujaifi, esso stesso un sunnita, indica nelle tensioni confessionali tra sciiti e sunniti iracheni la causa della quasi totale assenza di comunicazione tra il suo ufficio e il governo di Baghdad. Secondo l’ex governatore di Mosul, lo stesso Maliki avrebbe ordinato ai suoi sottoposti di non condividere le informazioni con lui.
Il motivo secondo Nujaifi era evidente: la riluttanza di Maliki nel dare soccorso ai politici sunniti potenzialmente vicini al partito Baath: «Maliki pensava che io avessi legami con il partito Baath e che, se mi avesse dato il suo appoggio, l’ex partito di Stato avrebbe nuovamente avuto una forte presenza in città“. L’ex governatore ritiene infatti che Maliki ed i suoi seguaci fossero cosi spaventati dalla presa del partito Baath tra la popolazione da preferire ISIS: “sapevano che se ci fosse stato un sunnita al centro del potere politico a Mosul nessuno li avrebbe aiutati a combattere. Con ISIS invece tutta la comunità internazionale sarebbe accorsa in aiuto. Per Maliki, ogni potere sunnita accettabile per la comunità internazionale era più pericoloso di ISIS”