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L’Iran affonda in una crisi economica profonda. Le sanzioni hanno strangolato l’export petrolifero, il rial è crollato, e una generazione di giovani si allontana sempre più dai valori della rivoluzione del 1979.
L’ipotesi di un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane non è più solo teoria. E’ invece uno scenario discusso sempre più apertamente tra Washington, Tel Aviv e le capitali europee. Secondo fonti americane la possibilità di un’azione militare è sempre più probabile, mentre per Israele la finestra di opportunità per attaccare continua a restringersi di settimana in settimana.
Un eventuale bombardamento delle installazioni nucleari in Iran avrebbe conseguenze devastanti, scatenando con ogni probabilità un conflitto regionale che coinvolgerebbe Hezbollah, le milizie filo-iraniane in Siria e Iraq, e destabilizzerebbe l’intero scacchiere mediorientale. Ma oltre alla risposta immediata di Teheran, ciò che preoccupa è il possibile collasso strategico del regime islamico.
Il leader supremo dell’Iran, Ali Khamenei ha recentemente dichiarato che l’ultimo round di negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti sono vicini al fallimento. Ha liquidato come “sciocchezze” le richieste americane di porre fine all’arricchimento dell’uranio, ribadendo che l’Iran non aspetterà il permesso di Washington.
Dietro questa retorica si cela una verità più cruda: Teheran non ha un piano B. Russia e Cina, tradizionali alleati, sono oggi troppo impegnate rispettivamente in Ucraina e in una guerra commerciale con gli USA per offrire un sostegno concreto. E anche la loro disponibilità a farsi coinvolgere in un nuovo focolaio mediorientale sembra in forte calo.
Nel frattempo, l’Iran affonda in una crisi economica profonda. Le sanzioni hanno strangolato l’export petrolifero, il rial è crollato, e una generazione di giovani si allontana sempre più dai valori della rivoluzione del 1979. Sul piano interno, crescono proteste, blackout, carenze idriche e sfiducia nel regime.
Sul fronte diplomatico, l’impasse si aggrava. Gli USA chiedono non solo lo stop all’arricchimento, ma anche un confronto sul programma missilistico iraniano. L’Europa, più paziente in passato, minaccia ora di ripristinare le sanzioni. E tra Washington e Tel Aviv si rafforza il coordinamento, alimentando i timori di un attacco imminente.
Per l’Iran, il rischio è esistenziale. Un’azione militare combinata con il blocco diplomatico potrebbe innescare un effetto domino: collasso economico, rivolta interna e isolamento globale. Con alleanze logore e risorse in esaurimento, la Repubblica islamica potrebbe trovarsi sull’orlo del tracollo.
Una via d’uscita esiste, ma richiede coraggio politico: riaprire il dialogo con l’Occidente, accettare ispezioni, limitare l’arricchimento e trattare non come resa, ma come sopravvivenza. Anche gli Stati Uniti dovranno offrire incentivi realistici, andando oltre le sole minacce.
Con l’avvicinarsi del 2025, Teheran si trova a un bivio storico. Il regime nato dalla rivoluzione si trova ora a confrontarsi con le stesse forze – conflitto, resistenza, ambiguità strategica – che una volta lo rafforzavano. Ma oggi, potrebbero non bastare più.